L’immigrazione è stata la benzina principale dell’ascesa delle nuove destre europee. Il lassismo sul controllo delle frontiere che ha caratterizzato lo scorso decennio ha cambiato in profondità l’orientamento delle opinioni pubbliche. Ha portato consenso alla destra radicale, sempre più presente nei sistemi politici del vecchio continente, spostato i partiti popolari su posizioni più conservatrici e costretto le forze di governo della sinistra ad abbracciare una politica realista fondata su un maggior presidio delle frontiere.

La maggioranza degli elettori ritiene che debba essere posto un freno all’immigrazione e forse considera i confini del proprio stato nazione l’ultimo bastione dove può e deve essere esercitata la sovranità.

Questa reazione politica entra in contrasto con il diritto europeo e internazionale codificato negli ultimi decenni nel contesto di globalizzazione e liberalismo internazionale fondato sui diritti umani. Queste leggi garantiscono uno spazio di interpretazione politica alla magistratura che rende difficile l’applicazione di politiche di rimpatrio e respingimento come nel caso dell’iniziativa italiana in Albania.

L’intervento della magistratura può intralciare in punta di diritto, che è bene ricordarlo non è scienza esatta ma ha spazi di interpretazione discrezionale da parte dei giudici, i piani del governo Meloni in Albania ma non ha il potere di cambiare la sensibilità della maggioranza degli italiani.

Anzi, intromissioni giuridiche in uno dei settori più delicati della sovranità in genere determinano un rafforzamento sul tema delle convinzioni degli elettori. Tutto ciò senza considerare un danno reputazionale per il paese arrecato da certe decisioni delle corti. Il governo italiano aveva infatti raccolto ampi consensi internazionali sulla soluzione albanese, anche da governi di centro e di sinistra, e oggi si ritrova alle prese con il proprio potere giudiziario che di fatto decreta l’impossibilità di perseguire questo piano.

Vittoria ideologica

Il governo italiano, dunque, non sarà colpito nei consensi dalla decisione giudiziaria e anzi forse ne riuscirà più forte, ma deve tenere conto di quello che per ora è un fallimento pratico. La soluzione albanese è un ripiego emergenziale e non una soluzione strutturale, il diritto internazionale e le sue corti sono oramai troppo ramificati e orientati affinché uno stato riesca a riaffermare una sovranità integrale sui confini, solo poche decine di migliaia di migranti possono essere ospitati nel centro a fronte di milioni che sono pronti a mettersi in mare. Si ritorna così al problema originario, cioè quello dei paesi di partenza.

È solo con gli stati africani che possono essere fatti accordi tali da limitare significativamente i flussi. Meloni, e anche Ursula von der Leyen, dovrebbero prenderne atto e agire di conseguenza. Ma questo significa riversare molte risorse nel nord Africa, dove la politica è spesso instabile e poco affidabile. Richiede tempo, risorse e una rilevante quantità di rischi. Che forse in fondo nessuno vuole assumersi davvero e che conduce a ritenere una migliore opzioni il litigio con la magistratura per qualche decina di richiedenti asilo.

Così da un lato i partiti progressisti ed europeisti possono continuare a bearsi di veder rispettato il diritto internazionale e di difendere la morale umanitaria pur sapendo bene che i flussi vanno limitati per ragioni sociali ed elettorali e dall’altro lato quelli di destra possono sostenere di aver provato a risolvere il problema con una soluzione posticcia e poco rischiosa e ottenendo anche in cambio un nemico perfetto, i giudici, che produce per loro nuovi consensi. Una soluzione cinica che nel breve accontenta tutti.

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