È la cronaca di una mancata convalida annunciata la decisione del tribunale di Roma relativa ai 12 migranti trasferiti in Albania nei giorni scorsi sulla nave Libra. La cronaca dello spreco di migliaia di euro di denaro pubblico a danno di persone spesso provate da viaggi estenuanti e da indicibili torture. Persone trattate come pacchi postali, da un paese all’altro, per consentire al governo di vantare il pugno duro sull’immigrazione, a difesa dei confini nazionali.

Una cronaca già scritta dopo che la Corte di Giustizia dell’Unione europea, il 4 ottobre scorso, aveva deciso che un paese è qualificabile come sicuro solo se i diritti fondamentali siano garantiti per tutti e su tutto il suo territorio. Quasi nessuno degli stati che l’Italia ha inserito nell’elenco dei paesi sicuri soddisfa questi requisiti. Ma proprio sulla base di quell’elenco il governo italiano ha deciso quali migranti fossero portati nei centri albanesi e assoggettati a una procedura di esame accelerata. È così che si è creato il corto circuito giuridico rilevato dal tribunale.

Sulla base della sentenza della Corte - affermano i giudici - i Paesi da cui provengono i migranti, Bangladesh ed Egitto, non sono sicuri. Pertanto, occorre riportarli in Italia.

Il bluff del governo

«Alcuni magistrati politicizzati hanno deciso che non esistono Paesi sicuri di provenienza: impossibile trattenere chi entra illegalmente, vietato rimpatriare i clandestini», ha scritto su X Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, con l’usuale vittimismo messo in campo sin dai tempi di Silvio Berlusconi.

Peccato che il bluff vittimistico della politicizzazione dei magistrati questa volta regga ancora meno delle altre. È lo stesso ministero degli Esteri, nelle schede allegate al decreto che designa i paesi sicuri, ad ammettere che Bangladesh ed Egitto presentano criticità che non consentono di considerarli sicuri per davvero. La sicurezza non si ottiene per decreto, se poi il decreto stesso attesta l’opposto.

La finzione

L’operazione messa in atto con la firma del Protocollo tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama è stata una finzione giuridica sin dall’inizio: dal considerare l’Albania un paese di frontiera, manipolando così i confini nazionali; all’effettuare screening dei migranti a bordo di una nave – screening rivelatisi fallaci, come dimostrano i 4 migranti riportati subito in Italia – dato che una nave non è attrezzata a farli, come aveva già sancito la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2012, condannando l’Italia. Era difficile che tutte le finzioni potessero reggere al vaglio giudiziario. Dunque, nessuna politicizzazione.

E non c’è alcuna politicizzazione anche perché i giudici erano obbligati ad applicare la citata sentenza della Corte Ue. Tra l’altro, nel post su X di Fratelli d’Italia si dice che i magistrati avrebbero impedito «il rimpatrio dei clandestini». Anche questa è una falsità: la decisione non parla di rimpatri, che potranno comunque avvenire dall’Italia. Se il governo non riesce a farli, come dimostrano i numeri, la colpa non è di certo dei giudici.

La strategia di Meloni

Giorgia Meloni ha già preannunciato che nei prossimi giorni l’esecutivo approverà nuove norme per superare “l’opposizione” politica fatta dai magistrati. È molto grave che il governo mistifichi con tali connotazioni una decisione adottata solo in punto di diritto. Il fine è evidentemente quello di coprire la propria incompetenza.

O, forse, c’è una spiegazione diversa. Meloni, resasi conto a un certo punto del pasticcio giuridico, nonché del flop in cui rischiava di tradursi l’intera operazione, piuttosto che tornare indietro ha lasciato tutto in mano ai giudici. In questo modo, ha ottenuto di poter rivendicare le proprie politiche a difesa dei confini nazionali, scaricandone il fallimento sui magistrati “politicizzati”.

Una strategia ad uso e consumo del suo elettorato. A tutti gli altri Meloni ha solo dimostrato di giocare con la pelle dei migranti per i propri interessi politici, in violazione del diritto. E non è di certo un risultato di cui vantarsi.

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