Egemonia è la parola magica di cui si riempiono le bocche della destra. Ma è bene mettere in chiaro le differenze fra egemonia e comando, sulle quali Gramsci ha riflettuto a lungo nella prigione fascista
La destra è giunta al governo con una legge elettorale mal concepita e grazie all’imprudenza dei leader di opposizione. Si è accasata al governo con arroganza, un personale mediocre, scarsa etica istituzionale, insofferenza per le regole di controllo fino a voler rendere faziosa la Corte costituzionale.
Lo scopo è istituire il premierato, per subordinare il parlamento all’esecutivo, con grave danno del pluralismo e delle nostre libertà; infine per costituzionalizzare una maggioranza, un esito autoritario che in Europa è stato attuato solo dall’Ungheria. Gerarchia, comando, dominio. Parole indigeribili da un’opinione democratica.
E così le bocche della destra si riempiono della parola magica: “Egemonia”. Non c’è spazio qui per un’analisi di questa categoria, che ha avuto in Antonio Gramsci il suo massimo teorico. Ma è bene mettere almeno in chiaro le differenze fra egemonia e comando, sulle quali Gramsci ha riflettuto a lungo nella prigione fascista.
La nozione di egemonia ha avuto interpretazioni controverse. Per brevità si può dire che si ispira ad una concezione idealista del potere come unità di “essere” e “conoscere” e che ha almeno due implicazioni, qualora venga impiegata come idea regolativa di critica sociale o come imperativo etico di edificazione della società ideale.
Nel primo caso, l’egemonia ha un forte significato emancipatore: ispira la denuncia della subordinazione gerarchica e di un ordine socio-politico fondato su diseguaglianza e coercizione (il “cadornismo”). La rivendicazione gramsciana, liberale e democratica nello spirito, dell'autonomia della persona e dell'eguale dignità morale di tutti gli individui discende da questa premessa. Ecco le sue parole: «Lo spirito d'iniziativa, il rispetto per gli altri, la convinzione che la libertà per tutti è sola garanzia delle libertà singole, che l'osservanza dei contratti è condizione indispensabile di convivenza civile», questi erano i fondamenti democratici di una società giusta, retta sulla ricerca del consenso per libera partecipazione (e spirito di “disinteresse”).
Nel secondo caso, l’ideale dell'unita di “essere” e “conoscere” prefigura una società che, con l’intento di risolvere il conflitto tra autorità e libertà, incoraggia un ordine nel quale la mente individuale aderisca a quella collettiva senza attrito.
Relativamente a Gramsci, la prima implicazione fu particolarmente spiccata negli anni torinesi della lotta politica, e la secondo negli anni del carcere, dove la ricerca delle cause della sconfitta del progetto emancipatore lo impegnò fino alla morte. Alcuni interpreti hanno insistito su questa biforcazione per sottolineare la relazione sghemba del pensiero politico di Gramsci con le libertà.
Contro questa lettura, si deve riconoscere che la società egemonica che egli aveva in mente era tutt'altro che monolitica. È difficile definire totalitario un’ideale che prevede che la società politica e quella civile restino distinte e che quest’ultima sia «complessa e bene articolata».
Norberto Bobbio ha riconosciuto con onestà la complessità del pensiero di Gramsci. Chi oggi a destra pensa di volerlo semplificare, piegandolo ad un progetto autoritario, adultera l’idea di egemonia, per ignoranza o per malafede. Non avendo una propria teoria dell’agire politico democratico, la destra arraffa da chi ce l’ha. Ma il piano di dare il bastone all’esecutivo per dominare il momento collettivo della deliberazione, e quindi contenere dissenso e pluralismo, non ha nulla a che fare con l’egemonia. Si adatta semmai al “cadornismo”, che era per Gramsci l’alter di egemonia.
Il cadornismo è una categoria vicina al bonapartisimo; indica la volontà della leadership al potere di tentare una fuga in avanti per risolvere la lotta tra le opposte forze in campo con l’assoggettamento di quella perdente. L’autoritarismo del capo portò l’Italia alla tragedia di Caporetto. Quella di Luigi Cadorna era una tecnica di comando innervata nella leadership risorgimentale che aveva unificato il paese nel disprezzo delle masse popolari e nella diffidenza del loro potere di governo.
Questa logica autoritaria diede il suo frutto più maturo con la rivoluzione passiva fascista, la celebrazione del mito di inglobare le masse sotto il potere insindacabile di un leader che comanda fede e disciplina. Cadornismo si oppone ad egemonia, come leadership autoritaria si oppose a leadership democratica. Detto in parole a noi famigliari: da un lato decisionismo apicale (che non disdegna il piglio tecnocratico) e dall’altro deliberazione che si articola nel dissenso e con il contributo di tutti. Questa è l’egemonia: una risposta al cadornismo, come la democrazia è una risposta all’autoritarismo. Ci dicano gli oracoli della destra da che parte stanno, senza fare i giocolieri di parole astruse.
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