- Le famiglie italiane hanno accumulato una ricchezza consistente, pari in media a circa nove volte il loro reddito disponibile: potrebbero mantenersi, con lo stesso livello di vita, per nove anni anche senza guadagnare un euro.
- Oltre la metà della ricchezza degli italiani, il 54 per cento, è investita in attività non finanziarie costituite essenzialmente da immobili, abitazioni per lo più, che generano ben poco reddito e ancor meno risorse per lo stato.
- Mentre dalla crisi del 2011 le attività finanziarie hanno cambiato direzione dai titoli di stato, affidandosi per lo più a piattaforme internazionali con investimenti più nel private equity che nelle società quotate italiane.
Il risparmio fa bene agli italiani ma non altrettanto all’Italia. Grazie al risparmio forzato durante il Covid, molte famiglie italiane hanno potuto sostenere la spesa per consumi nell’anno passato, pur in presenza di un’inflazione importata che ha ridotto la loro capacità di spesa.
Nel tempo, le famiglie italiane hanno accumulato una ricchezza consistente, pari a circa nove volte il loro reddito disponibile: quasi a dire che le famiglie italiane potrebbero mantenersi, con lo stesso livello di vita, per nove anni anche senza guadagnare un euro, ovviamente se questa ricchezza fosse distribuita in parti eguali a tutte le famiglie italiane, cosa che non è assolutamente vera, dato che la ricchezza è fortemente concentrata in un numero esiguo di famiglie.
Lo stato promuove e protegge il risparmio con le sue istituzioni, ma questo risparmio non sembra funzionare da motore per lo sviluppo del paese.
Metà ricchezza negli immobili
In effetti, oltre la metà della ricchezza degli italiani (il 54 per cento) è investita in attività non finanziarie costituite essenzialmente da immobili (abitazioni per lo più) che generano ben poco reddito e ancor meno risorse per lo stato.
Basti pensare che solo grazie all’ormai famoso (o famigerato) bonus 110 per cento si è potuto avviare un processo di modernizzazione di una parte minima del patrimonio immobiliare, con un costo rilevante per lo Stato, al punto che il governo è dovuto intervenire per fermare questo provvedimento.
Se poi si tiene conto che la gran parte delle abitazioni costituiscono una “prima casa” e, quindi, sono esenti dall’Imu, se ne può dedurre che l’immobilizzo di gran parte della ricchezza delle famiglie italiane nei fabbricati non produce un gran sostegno, né all’economia del paese, né alle casse dello stato.
Le attività finanziarie
Anche la restante parte della ricchezza, il 46 per cento investito in attività finanziarie, non sostiene come potrebbe il sistema economico italiano. Un tempo, gran parte di questo risparmio era investito in titoli pubblici.
Dopo la crisi del 2011 e dopo gli interventi della Banca centrale europea che hanno assorbito gran parte del debito pubblico italiano (e degli altri paesi europei), le attività finanziarie delle famiglie italiane sono state gestite in larga parte da piattaforme internazionali, con una logica di diversificazione che ha favorito i mercati più maturi e più consistenti, ciò che ha finito per penalizzare il nostro paese.
Lontano dalla Borsa
Di fatto, la presenza del risparmio italiano sulla Borsa italiana è molto limitata, al punto che la gran parte della liquidità delle aziende italiane quotate è detenuta da investitori internazionali.
In queste condizioni, le quotazioni oscillano essenzialmente in funzione dell’apprezzamento del paese da parte dei mercati internazionali, piuttosto che in relazione alla valutazione relativa alla singola azienda quotata.
Ancora più scarso è l’investimento delle famiglie italiane sulle imprese non quotate. Infatti, in Italia è ai minimi termini la quota di investimenti delle famiglie in fondi di private capital, ossia di private equity, venture capital e private debt che investono essenzialmente in aziende non quotate che rappresentano la grande base dell’economia italiana. E ciò, malgrado un rendimento relativamente elevato che è la contropartita della minore liquidità che è insita in questo tipo di investimento.
Negli anni passati i governi hanno cercato di favorire un maggior impiego del risparmio delle famiglie italiane nell’economia reale del paese. Sono così nati i Pir, piani Individuali di risparmio, e i Pir alternativi con alcuni vantaggi fiscali, che hanno prodotto alcuni investimenti, ma il risultato complessivo è stato molto limitato.
In queste condizioni, la grande risorsa del risparmio degli italiani profitta poco al paese e quindi agli italiani stessi. Occorre uno sforzo di tutto il paese perché il risparmio italiano possa sostenere la crescita della nostra economia, favorendo così anche il futuro del risparmio stesso e quindi il mantenimento nel tempo della ricchezza delle famiglie italiane.
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