La politica italiana sembra vivere uno stato di strana tregua verbale, nella settimana in cui il Medio Oriente si incendia nell’attesa dello scontro finale attorno e dentro la striscia di Gaza. Il dibattito parlamentare sulle risoluzioni seguite all’attacco di Hamas verso Israele ha registrato, tra qualche distinguo, una unità tra maggioranza e opposizioni sui punti principali.
Tutte le altre divisioni sembrano per il momento accantonate, ma è una illusione ottica. Restano sottotraccia le fratture sulla posizione da tenere in caso di escalation del conflitto, che i falchi della destra, a partire dal sottosegretario meloniano Giovanbattista Fazzolari, volevano accentuare fin dall’inizio, bloccati dall’ala moderata, incarnata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, sostenitore del valore dell’unità nazionale in politica estera.
Sul versante delle minoranze, il Movimento 5 Stelle è pronto ad accusare il Pd di Elly Schlein di «non essersi tolto l’elmetto», come ha fatto Giuseppe Conte ieri. Ma la divisione è più profonda e più di lungo periodo.
L’occidente di Ruini
Il più intelligente stratega della destra italiana da decenni si chiama Camillo Ruini, per 15 anni cardinale vicario del papa per la diocesi di Roma e presidente della Cei, la conferenza episcopale italiana. Ieri il cardinale Ruini è tornato a farsi vivo, per sostenere che l’occidente deve stare dalla parte di Israele.
Messa così, è quasi una banalità, una posizione scontata. In prospettiva, invece, è l’indicazione di una strada, di una identità possibile per la destra italiana: quella post-fascista non porta da nessuna parte (da anni), quella conservatrice è generica e fragile perché non accompagnata da una coerente impostazione culturale.
Ruini indica l’occidente. Sì, ma quale? L’occidente come spazio dei diritti umani, del pluralismo delle opinioni e delle fedi religiose, dello spirito umanitario che in queste ore ispira la prudenza della Casa Bianca e dell’Unione europea sulle scelte di Netanyahu?
Quello che sembra proporre Ruini è piuttosto un occidente che fa identità a sé, ideologia, bandiera che non ammette contraddizioni, il pensiero critico che pure è parte costitutiva del sistema liberal-democratico. È l’ideologia dell’Occidente assediato dai nemici esterni, ma anche da quelli interni che ne indeboliscono la granitica compattezza. Lo scontro di civiltà quotidiano, alimentato dalle tifoserie sui social e nei talk.
I nemici
Arrivati ormai quasi a un quarto del primo secolo del nuovo millennio, sono riemersi ovunque i nazionalismi, i particolarismi, gli interessi di gruppo, di setta, a sfondo ideologico o religioso. La fuga degli Usa da Kabul e il ritorno dei Talebani che dovevano essere spazzati via dalla guerra al terrore post-attentato alle torri gemelle ha simboleggiato nel 2021 il tutti a casa delle illusioni di stabilità dell’occidente vittorioso.
Nel 2005 Freedom House misurò la crescita della libertà globale nel mondo dopo la caduta del muro di Berlino, ma da quel momento in poi quella libertà è andata in declino. Stato di diritto, rispetto delle minoranze politiche, linguistiche, religiose, di genere e di orientamento sessuale, libertà di stampa e di pensiero: su tutti questi indicatori c’è stato un arretramento, anche in occidente, anche in Europa.
Un indebolimento che per i fascismi islamici, come sono i talebani, Isis, Hamas, è benzina nel motore, perché serve a dimostrare che nel mondo fortezza, nel mondo specchio, come lo chiama Naom Klein nel suo ultimo libro (“Doppio”, La Nave di Teseo), i diritti della persona non sono universali, ma di parte.
Non sarà facile sostenere in modo autorevole e credibile un altro occidente, nelle prossime settimane, neppure per i democratici italiani, in presenza di una escalation militare e di un allargamento del conflitto. Quando finirà anche la fragile politica italiana, la tentazione dei falchi della destra di governo di proporsi come unica sentinella dell’occidente diventerà irresistibile. E tutti gli altri diventeranno alleati del nemico, nemici anch’essi, fuori dallo spazio in cui si governa.
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