L’ex consigliere dei premier israeliani aveva previsto in anticipo l’attacco di Hamas. Ora non ha dubbi: mandare le truppe a Gaza significherebbe cadere in una trappola
Yigal Carmon, ex consigliere anti-terrorismo dei primi ministri israeliani Yitzhak Shamir and Yitzhak Rabin, ora a capo del think tank Middle East Media Research Institute (Memri), aveva previsto mesi fa un attacco come quello del 7 ottobre scorso contro Israele da parte di Hamas. In vari report pubblicati da Memri, aveva messo in evidenza i vari segnali che questo potesse accadere.
Troppa tensione, troppe armi, scontri continui tra israeliani e palestinesi, facevano pensare che una guerra fosse destinata a scoppiare a settembre o a ottobre di quest’anno, spiega Carmon da Gerusalemme in un’intervista a Domani.
Secondo l’analista l’intelligence israeliana, come tendono a fare anche altre agenzie di sicurezza nel mondo, ha fatto troppo affidamento sulle informazioni segrete e ha trascurato quelle open source.
Ma le responsabilità sono anche del premier Benjamin Netanyahu, più volte al governo in questi ultimi dieci anni, che ha sviluppato una politica di “collaborazione” col Qatar, diventato il maggiore finanziatore di Hamas a Gaza. Mentre l’escalation in Israele va avanti da una settimana, Carmon oggi guarda atterrito alla possibilità di un’imminente invasione della Striscia via terra e lancia un allarme sull’allargamento del conflitto nel prossimo futuro.
Qual è l’obiettivo ultimo di questa guerra da parte israeliana?
Hamas deve essere sradicata. Deve sparire. Non c’è alcun dubbio. Non c’è alcun accordo possibile con loro. Nessun israeliano lo accetterebbe. È il male di cui tutti si vogliono sbarazzare una volta per tutte. Possiamo farlo? Sicuramente, ma il tema è quale sarà il prezzo di tutto questo. La questione è come farlo, non se farlo. Sto dicendo ormai ovunque che non dobbiamo assolutamente mandare le nostre truppe dentro Gaza.
Perché no?
Sarebbe una trappola mortale. Tutti i soldi che ha ricevuto hanno permesso ad Hamas di mettere insieme un esercito di 30.000 combattenti, 30.000 assassini, un enorme arsenale di missili, strutture sotterranee di tunnel e non solo, centrali “militari” di controllo e comando. Invece di entrare a Gaza dovremmo continuare con i bombardamenti. Chi vuole entrare ora, che onore vorrebbe recuperare? L’abbiamo già perso. Entrare subito a Gaza sarebbe un modo per Netanyahu e alcuni militari di riabilitarsi. E vogliono farlo attraverso una vittoria.
Ma non ci sarà vittoria, abbiamo già perso. Anche quando vinceremo militarmente. Non c’è niente da recuperare. È stato un fallimento dell’intelligence, delle forze armate, di tutti. Peraltro, non si può fare così velocemente, bisogna prepararsi, dobbiamo permettere corridoi umanitari, così anche i palestinesi sanno che se ne possono andare da Gaza. Per ora, però, è Hamas che impedisce alla popolazione di uscire.
C’è però la questione degli ostaggi.
Hamas non vuole parlare di nulla fino alla fine della guerra. Pensano che così avranno una merce di scambio quando il conflitto sarà finito. Ma loro non saranno vivi dopo la guerra. Io dico che dovremmo fargli ora l’offerta di consegnargli tutti i prigionieri palestinesi detenuti nelle nostre carceri. Sfortunatamente il governo non lo sta facendo. Ma dovrebbe farlo, così i nostri ostaggi saprebbero di poter essere rilasciati, così pure le loro famiglie. Glielo dobbiamo. Se poi Hamas non è d’accordo, questa è un’altra storia, in ogni caso non li stanno rilasciando, quindi cosa ci rimane? Le famiglie devono sapere che Israele è disponibile a consegnare tutti i prigionieri nelle nostre carceri. E spero che questo finalmente accada.
Se mai si dovesse lanciare un’offensiva di terra, quando potrebbe essere il momento giusto?
Se aspettiamo almeno due mesi, l’addestramento va avanti e nel frattempo continuano i bombardamenti su Gaza. Ci saranno meno vittime israeliane, ma ce ne saranno lo stesso e non sono necessarie.
In ogni caso l’offensiva di terra dovrebbe avvenire il più tardi possibile. Hamas ha i tunnel, ma non ha generatori di corrente sufficienti a funzionare per due mesi. Non so però che farà il governo. Ci sono indicazioni che entreranno via terra presto, ma non si può sapere. Non è necessario operativamente, ma se proprio bisogna farlo, è necessario prima erodere le loro capacità militari e fare uscire la popolazione verso l’Egitto.
Teme un allargamento del conflitto?
Ci potrebbe essere, non dico di no. Se ci fosse un allargamento che coinvolgesse il Libano, sarebbe una catastrofe. Israele ha già detto che se Hezbollah entrasse in guerra con noi, il Libano sarebbe ridotto all’età della pietra. Questo vuol dire che il sistema fognario, l’infrastruttura elettrica e di fornitura dell’acqua sarebbero distrutti. Si immagina una città come Beirut, di due milioni di persone senza fogne e quello che potrebbe succedere?
Sarebbe la fine del Libano. Spero che quello che sta succedendo ora al sud del Libano sia sufficiente per loro. Però temo anche che se l’Iran chiedesse a Hezbollah di entrare in guerra, loro probabilmente lo farebbero. Gli americani sono stati grandi a dire loro “noi siamo qui se voi entrerete”. E questo è un deterrente. Per quanto riguarda la Cisgiordania, lì abbiamo visto anche recentemente che la gente ha paura. Vede che Israele cerca una vendetta, così lo percepiscono loro, ma in realtà è solo la volontà di eliminare un pericolo per il Paese. Saprebbero che se fossero coinvolti direttamente anche loro, sarebbe una catastrofe.
Israele ha commesso un crimine di guerra nell’ordinare l’evacuazione di più di un milione di persone dal nord al sud di Gaza?
Israele ha detto loro di andarsene per permettersi di salvarsi la vita. Dovrebbero andarsene per un periodo di tempo e poi potrebbero tornare in una Gaza senza Hamas. Chi sta commettendo crimini di guerra è Hamas che li usa come scudi umani. In cambio di un finanziamento dagli Stati Uniti, l’Egitto li lascerebbe entrare.
Chi dovrebbe governare Gaza dopo Hamas? Si dovrebbero tenere delle elezioni?
È una domanda difficile a cui rispondere. Elezioni? No… Dovrà essere un governo nominato dalla comunità internazionale.
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