- Ma davvero ha ragione Piero Ignazi quando indica come vero bersaglio della destra di Fratelli d’Italia niente meno che l’Illuminismo?
- La realtà è che quella destra non è solamente inadatta per cultura democratica e lealtà repubblicana a guidare il paese in uno dei suoi tornanti meno semplici, ma è tuttora intrisa di sentimenti, umori, pregiudizi, che con l’immane tragedia italiana ed europea del vecchio secolo non si è mai voluta misurare.
- Se servono cento ore di filmato per riuscire a condannare rigurgiti di fascismo e nazismo, allora forse il problema più che nel video sta negli occhi e nella coscienza di chi lo guarda. Per altro senza capirlo.
Ma davvero ha ragione Piero Ignazi quando indica come vero bersaglio della destra di Fratelli d’Italia niente meno che l’Illuminismo? Perché a dirla così la reazione più che stupore spinge a un sorriso tanta e tale è la distanza tra le lugubri battute razziste e antisemite, i tatuaggi duceschi e le simpatie hitleriane immortalati dall’inchiesta di Fanpage, e quel tratto di storia europea che ha plasmato un paio di secoli della nostra civiltà. E invece, ahinoi, Ignazi nel suo ragionare coglie il punto e soprattutto evita di ridurre l’ultima pagina di una rimozione ostentata a puro aneddoto o episodio di cronaca.
La realtà è che quella destra non è solamente inadatta per cultura democratica e lealtà repubblicana a guidare il paese in uno dei suoi tornanti meno semplici, ma è tuttora intrisa di sentimenti, umori, pregiudizi, che con l’immane tragedia italiana ed europea del vecchio secolo non si è mai voluta misurare. Posta così quel richiamo ai lumi costituisce il riferimento ultimo di una strategia tesa a calpestare principi condivisi solo nella forma, dalla libertà individuale all’autonomia nelle scelte di vita, in una spinta a retrocedere diversi architravi della nostra modernità. Il tutto lo scopriamo adesso, a fronte di un paio di nostalgici imbevuti di miti nazistoidi e, a quanto da loro stessi dichiarato, disinvolti nella pratica di “lavaggio” per fondi erogati in black?
Attaccare l’Illuminismo
Anche in questo caso la risposta è un’altra nel senso che solo a voler vedere, leggere, ascoltare, indizi di quella deriva c’erano da tempo e neppure dissimulati. A giugno dell’anno passato era stato Wlodek Goldkorn su Repubblica a raccogliere il flusso di coscienza di un personaggio minore, ma non ininfluente. Si chiama Andrzej Zybertowicz, sociologo e consigliere del presidente polacco, Andrzej Duda. In piena pandemia con l’Europa alle prese col dramma delle terapie intensive sature e della sfilata delle bare, lui non aggrediva i “burocrati di Bruxelles”, cosa in sé scontata. No, dopo una bocciatura secca dell’idea liberale il nucleo centrale dell’intervista era un affondo più che esplicito all’ideologia sconfitta del mondo globale, l’Illuminismo appunto.
Le ragioni esibite seguivano un filo: dinanzi a un mondo contrassegnato da un eccesso (sic) di velocità, la sola difesa possibile era, e ancora sarebbe, l’impegno a rallentarne la corsa. Ma se l’obiettivo diviene quello si deve imboccare un’unica strada, rivalutare «il vecchio, il conosciuto, l’usato sicuro: Dio, Patria e Famiglia, solo modo se vogliamo arginare il fondamentalismo dei diritti umani». Qui le parole acquistano per intero il loro peso. Dietro l’attacco, esplicito ripeto, alla sfera delle libertà, compresa l’autonomia e i diritti delle donne, tornava a imporsi uno degli argomenti più classici sulla mancanza di neutralità della ragione, in quanto tale impedita a reggere le sorti delle democrazie.
Muovendo da lì la risposta a un primato delle tecniche capace di alterare i rapporti di potere nella società non poteva che essere in un ritorno all’identità alla tradizione, con l’appello a resuscitare un “patriottismo etnico” a fondamento della nuova comunanza culturale. Fatte le debite distinzioni, che la leader della destra italiana omaggi un “camerata” scomparso riconoscendogli perenne fedeltà “all’idea” somiglia abbastanza a una convinta adesione verso un modo di pensare prossimo, per micidiale consonanza, alla “democrazia illiberale” del premier ungherese, non a caso benvoluto da quelle parti.
Ecco perché l’ultimo resoconto in ordine di tempo, l’inchiesta di Fanpage accennata sopra, non va liquidato nel nulla. Dal vertice di quel partito si replica chiedendo di visionare tutte le cento ore di registrato prima di emettere un giudizio. Ma il punto è esattamente qui: se servono cento ore di filmato per riuscire a condannare rigurgiti di fascismo e nazismo, allora forse il problema più che nel video sta negli occhi e nella coscienza di chi lo guarda. Per altro senza capirlo.
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