- La proposta della Commissione sull’efficientamento delle case ha il difetto di essere troppo timida e inadeguata rispetto alla sfida climatica. Gli obblighi minimi entreranno in vigore solo tra molti anni e con piccoli miglioramenti.
- Ma in Italia guai a toccare la casa e a mettersi contro chi rappresenta gli interessi della rendita immobiliare. Lo scontro che si apre ora è politico.
- Il governo Meloni e l’opposizione dovranno decidere se stare dalla parte degli interessi immobiliari o di quelli dell’ambiente e dei cittadini ad avere consumi ridotti.
Mai toccare la casa. Guai a mettersi contro chi rappresenta gli interessi della rendita immobiliare.
Non importa che qualcuno possa morire in edifici costruiti male, figuriamoci se qualcosa possa cambiare per ragioni ambientali. È così da sempre in Italia, autorevoli ministri hanno sbattuto il muro contro questi interessi e tutti i governi si sono piegati alla logica per cui nulla dovrà mai cambiare.
Si spiega così la levata di scudi contro la proposta di direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici. Un’uscita studiata e preventiva, per mettere da subito a tacere qualsiasi confronto nel merito della proposta. Chi ne parla è “contro gli italiani” e vuole “la patrimoniale”. E invece è importante leggere il testo, perché a stupire semmai è la poca ambizione della proposta, il rinvio nel tempo di politiche davvero efficaci per ridurre le bollette dei cittadini, i consumi di gas, l’inquinamento e le emissioni di gas serra. Ossia tutti i problemi di cui si discute da mesi e che se vogliamo affrontare davvero dobbiamo farlo a partire dagli edifici, perché rappresentano circa il 40 per cento dei consumi energetici in Europa.
Una proposta poco ambiziosa
La proposta della Commissione ha un difetto, ma è quello di essere troppo timida e inadeguata rispetto alla sfida climatica. Prevede infatti un miglioramento minimo dell’efficienza delle abitazioni, per passare dalla classe peggiore (la G) alla F a partire dal 2030. E alla classe E dal 2033, con un’applicazione lasciata agli stati ma che in sostanza avrebbe un momento di verifica in caso di affitto e di vendita. In paesi in cui la discussione pubblica e politica è più libera è già così da anni. In Inghilterra e Galles dal 2018 non si possono stipulare contratti di affitto per alloggi o negozi che non siano almeno in classe E.
Può sembrare incredibile, ma non sono previsti incentivi a fondo perduto, solo prestiti a tassi agevolati per realizzare gli interventi. Anche in Francia sono in vigore provvedimenti analoghi sempre con l’obiettivo di aiutare le famiglie a risparmiare nella spesa energetica. In entrambi i casi si è partiti da una analisi dei costi degli interventi necessari al salto di classe, per capirne la fattibilità anche da parte di famiglie che hanno una casa da affittare o la stanno cambiando.
Le analisi dimostrano che il miglioramento si può realizzare con interventi dal costo di alcune migliaia di euro e che si ripagano ampiamente in pochi anni grazie ai ridotti consumi. Sono due le ragioni che hanno spinto a intraprendere questa strada e che dovrebbero essere anche in Italia al centro del confronto politico. Primo, si vuole tutelare il diritto di chi va a vivere in una casa ad avere informazioni aggiornate e bollette meno care. Secondo, si vogliono muovere investimenti in efficienza da parte di chi le risorse da spendere sicuramente le ha, ossia i proprietari di immobili. Se non parliamo di queste cose vincerà ancora una volta Confedilizia, che dal 1998 blocca ogni tentativo di introdurre un libretto del fabbricato, malgrado in tanti palazzi si continui a morire per crolli dovuti a situazioni reali di pericolo.
La tesi è che è meglio che non si sappia. Chi oggi grida allo scandalo per questa direttiva ha fatto la guerra alcuni anni fa contro l’obbligo di assegnare una classe energetica alle abitazioni, anche qui perché meglio non far sapere ai cittadini.
Chi difende il governo?
Sarà interessante vedere quale posizione prenderà il governo nelle prossime tappe di un provvedimento che deve ancora essere discusso nel parlamento europeo e poi negoziato con il Consiglio. E capire se ci sarà qualcuno nell’opposizione capace di argomentare qualche tesi non asservita a interessi noti.
Anche perché ci sarebbe la possibilità di trasformare questi obblighi in opportunità. Si è infatti chiusa la stagione del superbonus – 68 i miliardi di spesa a carico dello stato secondo gli ultimi dati - ed è evidente l’urgenza di rivedere il sistema degli incentivi per renderlo più efficace in termini di riduzione dei consumi energetici e finalmente capace di intervenire a riqualificare le abitazioni delle famiglie meno abbienti.
La prima cosa da fare sarebbe chiedere a Enea una stima dei costi necessari al salto di classe, al netto degli incentivi, in modo da avere un confronto non viziato da numeri sbagliati.
Ridisegnare gli incentivi
Al governo invece andrebbe chiesto cosa ha in mente per ridisegnare l’articolato quadro di incentivi in vigore, che spazia tra il 50 e il 90 per cento per la riqualificazione edilizia, perché qui sta la sfida dei prossimi anni se vogliamo ridurre la dipendenza dal gas, aiutare davvero le famiglie e il settore edilizio.
Di tutti questi temi si dovrà discutere nei prossimi mesi e dobbiamo augurarci che chi fino a oggi è stato silente, ad esempio i costruttori dell’Ance che hanno interessi diversi dai proprietari di immobili, porti argomentazioni e dati.
Non è il momento di nascondersi in un paese in cui cresce il numero di famiglie che staccano i riscaldamenti perché non sono in grado di pagare le bollette. Questa non è una battaglia pro o contro l’Europa, ma su quali interessi si vuole difendere.
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