- Mia figlia mi ha detto che in futuro andemo in giro nudi: inizia a coltivare una sua idea intorno alla direzione della storia, all’inevitabilità di certe evoluzioni
- Con l’età adulta però ci si rende conto che la storia non ha una direzione ed è anche per questo che l’ottimismo di chi dice che «i nostri figli cambieranno il mondo» non mi convince
- Per cambiare davvero le cose le nuove generazioni non dovranno avere un’idea della direzione della storia, ma saper vedere i bisogni profondi e nascosti dell’umanità
Mia figlia sostiene che in futuro andremo in giro nudi, un po’ per via del caldo fuori controllo, un po’ per quella che sarà l’evoluzione della moda e degli usi. Il discorso è emerso quando abbiamo parlato di Victoria De Angelis, la bravissima bassista dei Måneskin che è stata censurata durante uno spettacolo perché ha mostrato il seno. Secondo mia figlia questa censura è sbagliata, ma soprattutto è irrilevante e poco interessante, in quanto la storia prima o poi prenderà la direzione inevitabile del nudismo.
Naturalmente dice così anche perché le piace dire queste cose, le cose che ti permettono di essere seria e divertente insieme. Inoltre va in quinta elementare, e ormai inizia a coltivare una sua idea intorno alla direzione della storia, all’inevitabilità di certe evoluzioni. Questa idea della direzione della storia rimarrà con lei a lungo, diventerà un fondamento dell’adolescenza e della giovinezza.
Direzioni della storia
È solo con l’età adulta, molto adulta, che ci rendiamo conto che la storia non ha una direzione. O meglio, alcuni di noi sviluppano questa impressione. Non si tratta di avere una posizione filosofica sul tema, quella la si può maturare intellettualmente in qualsiasi momento della vita. Si tratta più che altro di un complesso di sensazioni: la questione è emotiva e viscerale, non è il prodotto di un ragionamento. Le riflessioni e le esperienze che abbiamo accumulato negli anni possono darci, prima o poi, la sensazione del caos.
Per esempio se mi chiedono come mai in politica prevalga la destra, questa destra, di colpo mi vengono in mente molte spiegazioni diverse, e suonano tutte abbastanza buone, perché derivano da un insieme di letture e riflessioni, e hanno una specie di certificato di qualità. Queste spiegazioni però mi appaiono anche, subito, come giocattoli sparsi sul pavimento da un bambino di due anni, posso pensare che sia possibile interpretare il disegno generale di chi li ha sparsi, ma so che un disegno magari non c’è. E se c’è, non è pensato per venire incontro alle mie capacità di lettura.
Ci troviamo dunque a educare dei figli e al tempo stesso ad avere l’impressione che la storia non abbia una direzione. Può sembrare un problema secondario, una frivolezza cerebrale, ma non lo è, perché nelle conversazioni con i figli si apre uno iato. Loro ci parlano con serietà e umorismo delle loro convinzioni, noi rispondiamo con allegria, perché siamo felici che loro inizino a coltivare delle convinzioni, ma dentro ci sentiamo scialbi, e prima o poi questa debolezza si vede. Diventiamo nervosi. Liquidiamo (magari non esplicitamente, ma dentro di noi) le loro idee come infantili. Abbiamo ragione?
Bisogni nascosti
Ultimamente faccio un gioco, apro a caso un libro di Patrizia Cavalli, la poetessa scomparsa quest’anno, e leggo il testo che mi trovo davanti, immaginando che sia in realtà un messaggio criptato. Ieri, mentre riflettevo sui figli e sulle loro convinzioni intorno alla direzione della storia, ho fatto il gioco e ho trovato questa poesia: «Qualcuno mi ha detto / che certo le mie poesie / non cambieranno il mondo. / Io rispondo che certo sì / le mie poesie / non cambieranno il mondo».
Leggendo ho subito pensato: «E i nostri figli, per caso, cambieranno il mondo?». In fondo questa è la retorica classica del genitore ottimista. «I nostri figli cambieranno il mondo». Si sente dire molto, oggi, soprattutto in certi ambienti: «Ah, i bambini di adesso sono pazzeschi, sono molto più avanti di noi, hanno capito tutto, sono gli eredi di Greta Thunberg». E così via. Mi sono messa a riflettere su cosa significhi cambiare il mondo, frase ambigua.
Per prima cosa mi è venuto in mente il titolo del capitolo di un libro che ho letto anni fa, diceva: «La lavatrice ha cambiato il mondo più di internet». (Il capitolo effettivamente spiegava il perché). Questo spunto mi è sembrato avesse qualcosa di solido. I nostri figli, se vogliono cambiare il mondo, devono inventare per esempio la lavatrice del futuro? Con questo intendo dire che dobbiamo educarli alla concretezza? Non so. La lavatrice è un oggetto importantissimo, che risponde a un bisogno profondo, sotterraneo. Non a un capriccio, ma a una necessità oscurata. La lavatrice ha liberato le donne dalla schiavitù del bucato.
Forse il punto non è avere – come fanno i bambini e i giovani, e talvolta, diciamolo, anche i regimi – un’idea di quale sia la direzione della storia. Il punto è esercitarsi a capire quali sono i bisogni profondi dell’umanità, non i capricci, ma le necessità oscurate. Per farlo occorre essere prima di tutto degli osservatori molto speciali. Probabilmente senza direzione.
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