Uno dei tormentoni che i conduttori dello show radiofonico La Zanzara su Radio24 spesso lanciano è la voce dell’ex presidente della Camera, Laura Boldrini che dice: «Merita una riflessione, questo». Di solito a commento di qualche evento minore e banale, a mo’ di scherno per chi prende tutto sul serio. Se nel contesto di una trasmissione tra la satira e il trash questo artificio risulta azzeccato e simpatico, il rifiuto di affrontare gravi questioni politiche e sociali con un minimo di spessore storico e di pazienza da parte di molti politici, commentatori e intellettuali italiani è tanto frequente quanto avvilente.
La pratica, in queste settimane, è molto in voga in Italia nei confronti della guerra fra Israele e Hamas. A destra compattamente, ma anche tra osservatori moderati e (sedicenti) progressisti, vige un solo argomento: non è questo il momento di addentrarsi nella storia del conflitto israelopalestinese, né di affrontare le ragioni e i torti da entrambe le parti; c’è stato un disumano attacco da parte di Hamas verso inermi Israeliani, e ad esso bisogna rispondere, sostenendo senza se e senza ma qualunque forma in cui il governo di Gerusalemme deciderà di rispondere, incluso l’indiscriminato attacco per terra, mare e cielo alla striscia di Gaza tuttora in corso. Qualsiasi discostamento da questa posizione è un segnale di fiancheggiamento coi terroristi e di antisemitismo. Un esempio egregio è stata la reazione scomposta alle parole del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che alla condanna incondizionata di Hamas ha aggiunto che questo conflitto non nasce nel vuoto.

Retorica

Si tratta, da un lato, di una retorica basata su un argomento intuitivo: c’è una grave emergenza, cominciamo con affrontarla senza perdere tempo in altre considerazioni. Ma è anche una retorica vuota e che finisce per accettare lo status quo, per rimanere passivi di fronte ai grandi avvenimenti del mondo, e per lavarsene le mani (come quel prefetto romano 2000 anni fa a Gerusalemme). 

Abbiamo la fortuna di non essere una delle parti direttamente in causa. Viviamo nella sicurezza delle nostre case. Non siamo chiamati alle armi, né dobbiamo disperatamente fuggire, senza nemmeno sapere dove, per non morire sotto i bombardamenti. Come meglio possiamo onorare questi privilegi se non provando a capire la complessità del contesto storico, essendo intellettualmente onesti nel riconoscere le ragioni, i torti e i crimini di tutte le parti in causa, e non facendoci influenzare dalle proprie preferenze ideologiche o dagli istinti prima di avere raccolto e compreso queste informazioni, magari anche affidandosi ad esperti invece di autoproclamarsi tuttologi, per poi comunicarle al pubblico nel modo più onesto e comprensibile?

Come possiamo contribuire all’elaborazione di possibili scenari e soluzioni, di breve e di lungo periodo, e a considerarne il maggior numero possibile, più o meno convenzionali, per poi convergere su quella che possa meglio allentare le tensioni, proteggere innanzitutto i deboli e gli innocenti, e separare le responsabilità, se assumiamo in partenza di non avere nessuna discrezione? Come si può pensare, nell’occidente del XXI secolo, della rivoluzione scientifica, dell’Illuminismo e dei diritti inalienabili delle persone, di rinunciare alla razionalità e di accettare supinamente qualsiasi decisione in nome dell’urgenza, quando è proprio nelle situazioni più gravi che la critica e la ragione possono davvero fare la differenza?

I due sistemi

Uno psicologo ed economista israeliano, Daniel Kahneman, ha teorizzato l’esistenza di due sistemi di pensiero in ogni persona. Il “Sistema 1” consiste nel pensiero istintivo, immediato, utile per breve tempo e in situazioni molto specifiche, ma che poi porta a commettere errori sistematici e duraturi. Il “Sistema 2” regola il la riflessione e la razionalità, è indispensabile per affrontare e gestire la complessità e per evitare guai.
Entrambi i sistemi sono importanti, ma se si pensa sempre in termini di emergenza e di brevissimo periodo, allora ci si condanna a dipendere da una sequenza di decisioni del primo tipo. A vedere il mondo come una serie di fotografie istantanee, come ha scritto Corrado Formigli qualche giorno fa. A non affrontare i problemi nella loro interezza per poterli davvero risolvere. A rimanere nella condizione kantiana di minorità e, nel contesto delle grandi questioni globali, di provincialità e irrilevanza. 

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