Finalmente, dopo la rovinosa sconfitta del 2002, è tornata la speranza di battere le destre alle prossime politiche. Ma per farlo non bastano le alleanze. Ci vuole un progetto incisivo e coerente
Dopo la rovinosa sconfitta di due anni fa, il centro-sinistra ha avviato un processo di riorganizzazione che sta andando nella direzione giusta. Questo non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti, come è evidente in questi giorni. Ma vuol dire che può esserci almeno la speranza di sconfiggere la destra alle prossime politiche.
La prima tappa fondamentale di questa riorganizzazione è stata la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito democratico, nel febbraio 2023. Alla vigilia di quella affermazione a sorpresa, ricordiamo, il Pd era crollato nei sondaggi al 16 per cento ed era stato superato dai Cinque stelle. Non ci sarà mai la controprova, ma è probabile che senza quella vittoria noi oggi avremmo un’opposizione frammentata in almeno due tronconi e lo stesso Pd lacerato e indebolito.
Contrariamente a quel che prevedevano i suoi detrattori, Schlein ha invece risollevato notevolmente le percentuali del suo partito. E non solo: ha ricostruito l’alleanza di centro-sinistra, con al centro la sua leadership. Giuseppe Conte, anche lui smentendo una parte dei suoi critici, si è poi impegnato per collocare stabilmente in questa alleanza il Movimento 5 stelle; per farlo, sta conducendo una dura e lunga battaglia contro Beppe Grillo, probabilmente (si spera) al suo atto finale.
In questo quadro si è consolidata anche Avs che, di nuovo contraddicendo le aspettative, ha trovato forza proprio nell’alleanza con il Pd più a sinistra di Schlein, combattendo le stesse battaglie. Quanto ai Cinque stelle, occorre ricordarsi che dove l’astensione aumenta (alle europee, alle amministrative) le sue percentuali tendono a scendere.
Recuperare gli astenuti
Alle elezioni politiche, dove la partecipazione sale un po’, il Movimento 5 stelle può svolgere un ruolo fondamentale, per tutta la coalizione: recuperare una parte degli astenuti, dei suoi astenuti, cittadini che non vanno più a votare perché hanno perso fiducia nella politica. Ora è possibile provare a restituire almeno un po’ di quella fiducia: se i Cinque stelle sceglieranno di stare in coalizione, dando la speranza di una vittoria possibile.
Per farlo, però, le alleanze non bastano. Ci vuole un progetto incisivo e coerente. Di tutta l’alleanza. Per questo è utile guardare anche a quello che succede nel fu Terzo polo. Una parte, guidata da Luigi Marattin e altri, sta scegliendo di rimanere fuori dal campo progressista.
È un bene, perché le idee di questa componente, in sostanza quelle neo-liberali, risultano incompatibili con qualsiasi alleanza progressista. Sono idee, al più, da onesto centro-destra. Peraltro già sperimentate e fallite. Al cuore delle proposte economiche, ad esempio, troviamo la riduzione della spesa pubblica.
Ma l’Italia dagli anni Novanta al Covid ha registrato sempre, tranne che nel 2009, un attivo di bilancio primario (tolti cioè gli interessi): vuol dire che le nostre spese per far funzionare lo stato e l’amministrazione, per la sanità e per la scuola, per le infrastrutture, per il welfare, sono state sistematicamente inferiori alle entrate, non maggiori; e difatti siamo agli ultimi posti nel mondo avanzato, in rapporto al Pil. Vogliamo diminuirle ancora? E siamo anche diventati uno dei paesi europei con il mercato del lavoro più flessibile e precario. Tutto questo non ci ha salvato dal declino, anzi: lo ha accelerato! Mentre alcuni diritti fondamentali dei cittadini sono stati compromessi.
Liberalismo sociale
Ci sarà pieno spazio invece, nell’alleanza progressista, per quelle forze che si rifanno al liberalismo sociale (che non è il neo-liberismo). E che si possono ritrovare in +Europa, in quelle componenti del fu Terzo polo che scelgono il centro-sinistra, oltre che in parte dello stesso Pd.
Sono forze che, nella battaglia politica contro le destre e i nazionalisti, possono svolgere un ruolo importante: che consiste nel mobilitare le componenti più avanzate e aperte delle nostre classi dirigenti, soprattutto nel mondo delle imprese, le quali comprendono come l’Italia non possa continuare a essere un paese avanzato se non investe nell’istruzione e nell’innovazione, nel buon funzionamento della pubblica amministrazione, nella conversione ecologica (tutte cose che vanno finanziate), nella mobilità economica e sociale e in una competizione economica fondata sulla qualità dei prodotti, non sulla riduzione dei salari.
Un modello che passa per la lotta alle disuguaglianze e per serie politiche ambientali, per la promozione dei diritti sociali assieme a quelli civili e politici. È su questo che si gioca l’alternativa alla destra.
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