Mosca pensa che l’Occidente sia una minaccia, noi pensiamo l’opposto. Come per le persone, anche tra i popoli la percezione di sé e la visione degli altri non coincidono quasi mai
Al Forum internazionale delle culture unite di San Pietroburgo lo scorso 11 settembre il patriarca russo Kirill ha dichiarato: «La Russia, nonostante la sua potenza, è un paese molto umile. Non imponiamo nulla a nessuno, non occupiamo nessuno, non schiavizziamo nessuno. Stiamo seguendo con calma il nostro percorso storico».
Tali parole possono scandalizzarci o farci sorridere, ma non dovremmo: la grande maggioranza dei russi pensa davvero che questa sia la situazione ed è convinta nel profondo di tale immagine del proprio paese. Come accade nelle relazioni interpersonali, anche tra i popoli esistono diverse percezioni: ciò che uno pensa di sé stesso con coincide con quello che gli altri vedono. Anche l’Occidente in genere si sente innocente e lavato da ogni peccato che gli viene attribuito dall’esterno, sostenendo di aver inventato “per tutti” democrazia e diritti umani, oltre che scienza medica e così via.
Ma come diceva Robespierre: «Nessuno ama i missionari armati», modalità con la quale l’Occidente si è presentato spesso agli altri popoli. Se dunque ci paiono assurde le affermazioni del patriarca, è bene avere consapevolezza che la Russia legge la propria storia al contrario di come lo facciamo in Occidente: da sempre si sente minacciata. Noi pensiamo l’opposto. Ognuno porta prove a suo carico e discarico: dal canto loro i russi citano sempre Napoleone e Hitler e non si può dare loro torto su questo.
Ma la storia non si deve manipolare né adattare ai propri scopi: tutti lo fanno e il risultato è sempre a somma zero. C’è una boutade che circola in Europa dell’est: ciò che è imprevedibile della Russia non è tanto il suo futuro ma il suo passato.
Significa che a Mosca si usa il passato per giustificare il presente, come al Cremlino stanno facendo per scusare o coprire l’aggressione all’Ucraina. D’altronde molti russi pensano che l’Ucraina sia Russia senza rendersi conto che, seppure ci fosse molta comunanza tra i due popoli, con questa guerra il fossato è divenuto incolmabile.
Il paradosso è che l’attacco a Kiev ha creato per sempre un nazionalismo ucraino sostanzialmente antirusso. Per avere un quadro reale occorre uscire dalla contraffazione della storia e accettarne la complessità: tutto è sempre molto più multiforme di come appare. Le radici delle guerre europee sono profonde e intrecciate: nessuno può facilmente evitare la propria parte di responsabilità, gettandola tutta sulle spalle degli altri. Anche la guerra attuale in Ucraina subisce lo stesso destino: seppure l’aggressione russa è evidente, una parte di responsabilità incombe all’Europa occidentale.
Non siamo stati capaci né di capire né di anticipare le bramosie di Vladimir Putin e dei suoi; ci siamo cullati nell’idea fasulla di una “vittoria nella Guerra fredda” che per il Cremlino non era terminata; abbiamo pensato che la non applicazione degli accordi di Minsk II fosse un peccato veniale e non mortale. Ma esiste anche una responsabilità dei paesi dell’Europa orientale, Baltici, Polonia, ecc.: oggi gridano al pericolo russo dimenticando che le provocazioni e gli allarmi hanno sempre un costo. Proporre come unica scelta la guerra a oltranza non porta bene.
La Ue si presenta divisa all’appuntamento forse più importante e decisivo della sua storia, con il quale tornano in superficie temi messi in ombra da tempo, come la difesa comune (basta rammentare il fallimento della Ced, Comunità europea della difesa del 1952-54) o le relazioni con gli Stati Uniti e/o quelle tra Europa occidentale e dell’est.
Durante il periodo delle guerre in Iraq gli americani avevano fatto la distinzione tra “vecchia e nuova Europa”, oltre che definire “l’Europa di Venere e l’America di Marte”. Ci sono dei riflessi automatici delle diverse opinioni pubbliche nei confronti della democrazia e della lettura delle vicende storiche che separano le sensibilità tra i due blocchi, rendendo il dialogo difficile. Ancora oggi i polacchi recriminano per essere stati abbandonati nel 1939, per non parlare dell’atteggiamento ungherese nei confronti del trattato del Trianon dopo la Prima guerra mondiale.
Nel futuro molto dipenderà da ciò che decideranno i tedeschi: le elezioni in Turingia e Sassonia ci danno la dimensione di quello che potrebbe accadere. Il successo elettorale degli estremisti filonazisti dell’AfD dimostra che l’Europa è a rischio: i nazionalismi sono sempre pericolosi per la tenuta del processo di integrazione, ma quelli tedeschi possono essere fatali.
La guerra in Ucraina ha scatenato i demoni ancora nascosti nel fondo pagano del continente, mettendo a rischio non solo le istituzioni comuni ma la resistenza della stessa cultura democratica. La difesa degli ideali democratici diviene dunque essenziale e passaggio obbligato per il ritorno della pace in Europa.
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