L’arresto per corruzione e turbativa d’asta del presidente della provincia di Salerno Franco Alfieri – quello noto alle cronache per le fritture di pesce – e l’indagine sempre per corruzione e peculato del consigliere regionale campano Giovanni Zunino, sul piano politico, ripropongono il problema del rapporto tra Vincenzo De Luca e il Pd.

Come più d’uno ha osservato, ancora una volta la magistratura ha anticipato la politica nella sua azione di bonifica e si sono dimostrati l’insufficienza e i ritardi dei commissariamenti disposti dal partito. Eppure la svolta rappresentata dall’ascesa di Elly Schlein alla segreteria del Pd aveva alimentato (alimenta?) speranze al riguardo. Ella aveva esordito con le seguenti parole: «Anche dentro di noi abbiamo limiti da estirpare, non vogliamo più vedere irregolarità nei tesseramenti, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi».

Semplificando: questa era la seconda delle due principali sfide e del conseguente mandato affidato alla giovane leader del Pd. Essendo la prima sfida quella di imprimere una sostanziale correzione al profilo e alla linea politica del partito, riportandolo – per dirla con le parole di Schlein – laddove elettori e militanti lo attendevano, dopo il deragliamento renziano.

Contestualmente, ci si impegnava ad affrancarlo dalla presa di una nomenclatura insaziabile e tenace, che, in certi territori, prendeva le sembianze di pervasivi sistemi di potere informati a familismo, clientelismo sino a forme di satrapia. Smisurato potere, occupazione di partito e istituzione. Come esemplarmente nel caso di De Luca. Il prototipo in materia.

Le inchieste giornalistiche di Domani e le acute, documentate analisi di un sociologo di vaglia quale Isaia Sales, da gran tempo, hanno offerto un quadro preciso e allarmante di tali degenerazioni: una concezione e una pratica malata della politica e della gestione del potere in quel territorio.

Di più: quei rapporti hanno altresì smentito la tesi secondo la quale quel modo feudale e sfrontato di amministrare la cosa pubblica sarebbe tuttavia bilanciato da una gestione efficiente. La condizione della sanità campana sta lì a dimostrare il contrario.

Quasi un’impresa

Vogliamo riconoscere che, per il nuovo corso Pd, questa seconda sfida si sta rivelando più difficile e contrastata della prima? Eppure trattasi di questione cruciale. I più accreditati meridionalisti hanno abbondantemente documentato come esattamente quel rapporto distorto tra ceto politico e clientes condanni il sud al sottosviluppo economico e civile. Con questi chiari di luna, è da non credere che ancora si possa discutere di terzo mandato a De Luca. Aggirando il vincolo di legge e, ancor più, la sua originaria ratio: scongiurare appunto l’incrostazione di sistemi di potere personale.

Fu chiarissima, dichiarata e da tutti condivisa tale motivazione all’atto della riforma che introdusse l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni. Era un suo stretto corollario. Persino l’attuale maggioranza si è convinta a introdurre il limite dei due mandati relativamente al capo del governo disegnato dalla controversa riforma del premierato. Sarebbe paradossale che l’opposizione, nel mentre contrasta la “capocrazia” meloniana, cedesse alla sua logica in sede regionale. Avallando e acuendo la torsione costituzionale e lessicale implicita nella qualifica di “governatore” e dando altresì una mano a Salvini alle prese con l’ingombrante problema rappresentato da uno Zaia “disoccupato”.

Come si è accennato, per questa via passa la scommessa di Schlein, la sua promessa di venire a capo del male endemico del Pd, di cui si è avuto un saggio anche nel passaggio stretto delle candidature Pd alle europee. Ovvero l’affollata corsa di presidenti di Regione e di sindaci in scadenza in cerca di sistemazione. Per inciso: già il Pd sconta la conseguenza nel caleidoscopio di posizioni della sua delegazione all’europarlamento. Il correntismo che affligge il partito si riveste di nobili sfumature politico-culturali ma, a ben vedere, esso è soprattutto figlio di filiere personali di eletti o amministratori.

Con la riduzione del partito a confederazione di cordate a supporto di eletti o aspiranti tali. Se non si scardina tale modello che forgia la costituzione materiale del Pd, il partito non riuscirà mai a farsi compiutamente partito le cui dinamiche interne siano dettate dalla politica e non dalle mobili transazioni tra gruppi di potere ossessivamente concentrati sulle candidature ai vari livelli. Una distorsione cui non è estraneo il destino fatale riservato agli undici segretari che si sono avvicendati. Si può leggere anche in questa chiave – lo svilimento sino al disprezzo per il partito – il libro di De Luca e, segnatamente, il suo irridente titolo «Nonostante il Pd».

L’autore andrebbe preso in parola, lo si dovrebbe assecondare, alleggerendolo dell’ingombro del Pd da lui così palesemente mal sopportato, separando le rispettive strade. Reciprocamente, un minimo scatto di orgoglio, da parte del partito, dovrebbe indurlo ad alleggerirsi di lui.

A rigor di logica sarebbe, per entrambi, uno scambio di favori. Ex malo bonum, espressione attribuita a Sant’Agostino e riferita a Beirut. Lì si consuma una tragedia, qui una farsa con risvolti caricaturali di successo (vedi Crozza) ma cui va posta fine per la dignità delle istituzioni.

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