Nella mente del tycoon i dazi funzionano come un aumento delle tasse, in realtà pagate dai consumatori americani, ma che nella narrazione trumpiana vengono descritti come se fossero a carico dei paesi esportatori
Ma davvero Trump pensa di riequilibrare gli scambi commerciali con i dazi? O ci sono altre ragioni inconfessabili che lo spingono a comportarsi così? Vediamo i fatti. Gli Usa sono nuovamente alle prese con i “disavanzi gemelli”, ossia un elevato disavanzo pubblico che si accompagna a un altrettanto elevato disavanzo nei conti con l’estero. Questa situazione si era già proposta durante la guerra del Vietnam che aveva generato un forte disavanzo pubblico per sostenere le spese militari e un conseguente disavanzo nella bilancia dei pagamenti.
Ne seguì (agosto 1970) la svalutazione del dollaro (10 per cento) e la fine dell’accordo di Bretton Wood, con lo sganciamento del dollaro dall’oro e l’avvio della fluttuazione delle monete sul mercato dei cambi. Una situazione analoga ebbe a ripetersi negli anni ottanta, dopo il rialzo dei tassi d’interesse (volto a frenare l’inflazione da petrolio) che concorse ad un’eccessiva rivalutazione del dollaro e conseguente squilibrio nei conti con l’estero. Nel 1985 il G5 di allora (Francia, Germania, Giappone, Uk e Usa) orchestrò una manovra tra le banche centrali per arrivare a una svalutazione del dollaro che correggesse gli squilibri della bilancia dei pagamenti americana.
Oggi gli Stati Uniti si trovano ad avere squilibri esterni ed interni e dipendono fortemente dai mercati finanziari che assorbono quantità elevata di debito pubblico americano. In queste condizioni, la politica fiscale Usa dovrebbe essere restrittiva, ossia volta ad aumentare le tasse e/o a ridurre la spesa pubblica, per frenare la domanda interna onde evitare ulteriori squilibri che potrebbero anche portare a un rifiuto dei mercati ad assorbire debito pubblico americano. Ma una simile politica sarebbe una dichiarazione di fallimento di tutte le promesse di Trump.
La soluzione escogitata è stata quella di addossarne ad altri le colpe: i paesi esportatori sono colpevoli degli squilibri nella bilancia dei pagamenti americana. Da qui la politica dei dazi che, nella mente di Trump e del suo attuale consigliere economico Stephen Miran, dovrebbe consentire di racimolare ingenti cifre, capaci di ridurre il disavanzo pubblico. In altre parole, i dazi funzionerebbero come un aumento delle tasse, in realtà pagate dai consumatori americani, ma che nella narrazione trumpiana vengono descritti come se fossero a carico dei paesi esportatori (una delle tante bugie del presidente americano).
A questa operazione di aumento occulto delle tasse si aggiunge l’azione di Musk volta a ridurre la spesa pubblica eliminando numerosi posti di lavoro ed intere agenzie governative. Ecco allora che appare con maggiore evidenza l’obiettivo di contenere il disavanzo ed eventualmente di consentire una qualche riduzione delle tasse ma limitatamente alle persone più ricche per non dover impegnare troppe risorse.
In questa maniera, di fatto Trump finirebbe per attuare una politica fiscale restrittiva, senza dichiararlo ma attribuendo la responsabilità agli altri paesi (noti profittatori) e agli impiegati pubblici (ovviamente inutili e corrotti). E infatti gli Usa sono attesi andare in recessione nel corso di quest’anno, dopo l’annuncio dei dazi e il crollo dei mercati, ciò che contribuirà a migliorare (di poco) la loro bilancia dei pagamenti.
Ma Trump appare ormai essere come l’apprendista stregone (meno simpatico di Topolino nella versione di Disney) che ha messo in moto un meccanismo che non riesce più a governare. È così che annuncia dazi con largo anticipo, ciò che ha provocato accaparramenti e occultazione di prodotti che verranno immessi sul mercato solo una volta decisi i dazi per lucrare su un prezzo più elevato. Poi li sospende spaventato dalla reazione dei paesi colpiti, dalle oscillazioni dei mercati e dalla contrarietà di molti imprenditori americani. Il tutto per avviare centinaia di negoziati bilaterali con i paesi colpiti o minacciati dai dazi ed ottenere qualche vantaggio da sventolare agli elettori.
Qualcuno sostiene che siamo in presenza del ritorno della supremazia della politica sull’economia dopo decenni di supremazia dell’economia sulla politica. Se questo è vero, e il diffondersi del nazionalismo va in quella direzione, dobbiamo aspettarci minore crescita, maggiori diseguaglianze e un marcato dirigismo che accompagna sempre i nazionalisti e rappresenta la vera supremazia della politica sull’economia.
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