L’Ue naviga a vista nella bufera dazi. E invece l’unica risposta possibile è un salto decisivo nell’integrazione europea e un cambiamento radicale del modello di sviluppo seguito finora: con politiche espansive, che sostengano i consumi e l’innovazione
Nella tempesta in corso l’Europa naviga a vista. E il governo italiano, addirittura, si ostina a seguire una rotta pericolosa e sbagliata. L’amministrazione Trump pone una sfida esistenziale e ridisegna l’ordine internazionale, come i dazi evidenziano: con conseguenze drammatiche e quasi certamente non di breve periodo, purtroppo.
Di fronte a questo scenario, la risposta non è lo sforamento del debito a livello nazionale, o l’allentamento di qualche vincolo europeo, come chiede fra gli altri il nostro governo, se non forse come pezza momentanea. La risposta è un salto decisivo nell’integrazione europea e un cambiamento radicale del modello di sviluppo seguito finora: con politiche espansive, che sostengano i consumi e l’innovazione. Occorre chiedere all’Europa di lanciare un nuovo Pnrr, accompagnato da riforme che portano a una maggiore integrazione.
Il nuovo piano europeo deve poggiare su quattro pilastri. Primo, investimenti comuni sulla difesa e la sicurezza, a partire dai settori a più alta tecnologia, come lo spazio, i big data, l’intelligenza artificiale. Secondo, la lotta alle disuguaglianze, per rafforzare il mercato interno e mantenere il potere d’acquisto a fronte dell’inevitabile inflazione (che porterà a una riduzione della domanda interna, in aggiunta a quella internazionale).
Terzo, il sostegno alla transizione energetica: si pensi che dalle energie rinnovabili, come il solare, vengono garanzie di sicurezza energetica per il nostro continente, e per l’Italia, e anche risparmi in bolletta per i cittadini e le imprese (come ha ben capito la Spagna); quanto all’automotive, l’elettrico è il futuro della competizione sulla qualità, anzi, è già il presente, basti guardare a quello che è successo in Cina.
Altro quindi che rinunciare al Green Deal, come propone Meloni nella sua lotta (questa sì) ideologica! È l’esatto contrario: il piano per l’ambiente va rafforzato, con nuove risorse, per accelerare gli investimenti e aiutare la nostra industria nella doverosa, e già tardiva, transizione.
Quarto pilastro, l’innovazione. La Ue deve lanciare un ambizioso piano per il reclutamento dei migliori cervelli nel mondo, molti dei quali oggi soffrono per la crisi delle università americane con l’arrivo di Trump: l’innovazione tecnologica e sociale, di cui abbiamo disperatamente bisogno, cammina sulle gambe delle persone, e sarebbe miope non cogliere ogni opportunità.
Questa strategia complessiva dovrebbe basarsi sulla collaborazione fra pubblico e privato. Oltre che con programmazione e incentivi (come ha fatto la Cina), con la creazione di campioni europei, attraverso le cooperazioni rafforzate, in alcuni settori chiave ad alta innovazione: come l’energia, le piattaforme social e i big data, la sanità e la ricerca biomedica, la difesa e sicurezza. Le risorse possono provenire in buona parte dal debito, come propone anche Mario Draghi.
Ma in parte oggi possono venire dalle imposte: sui profitti delle big tech o di altre imprese americane, come Tesla, legate all’amministrazione Trump, in risposta ai dazi; e, perché no, anche con un’imposta patrimoniale europea sui grandi milionari, volta a contrastare le disuguaglianze. Parallelamente, l’Ue deve procedere al completamento del mercato interno: dai servizi finanziari, compresi i pagamenti elettronici (dove è essenziale rendersi indipendenti dal sistema Usa, o cinese), alle infrastrutture energetiche e di trasporto, alle telecomunicazioni.
Si dirà: non ci sono le condizioni politiche, è un libro dei sogni. Ma le condizioni politiche si costruiscono, o almeno ci si prova. Nel 2020, quando scoppiò il Covid, inizialmente la Commissione proponeva il “Mes sanitario”, e gli eurobond venivano considerati irrealizzabili. A quel tempo ero responsabile economia del Pd: se riuscimmo a ottenere il Pnrr è perché ingaggiammo una dura battaglia politica, in cui furono determinanti il premier Conte e personalità del Pd come il presidente dell’Europarlamento Sassoli e il ministro all’Economia Gualtieri.
Oggi la spinta per l’integrazione europea è ancora più urgente, data la ben maggiore aggressività di Putin e di Trump. Poi, certo, molte cose sono cambiate: ma la presidente della Commissione è la stessa di allora. Stesso presidente francese, stesso premier spagnolo. Stesso indirizzo politico in Germania. Diverso è il governo italiano. Proprio come manca il ruolo propulsivo dell’Italia, per provare a fare la cosa giusta.
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