L’aumento della pressione fiscale che deriverà da questa riforma non potrà che penalizzare le regioni del Nord che finiranno per pagare con gli interessi la loro pretesa di autonomia
L’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario spaccherà sicuramente in due l’Italia tra regioni del Nord e quelle del Sud, come molte analisi dimostrano in maniera evidente, posto che attribuirà di fatto più risorse alle regioni dove già si realizzano livelli di reddito maggiori, ossia quelle del Nord.
Ma ciò che dovrebbe impensierire tutto il paese, e in particolare le regioni del Nord, è che questa riforma penalizzerà soprattutto l’Italia riducendo le sue capacità di governo del bilancio pubblico e frammentando le competenze in tante materie, sicché ci sarà una perdita di capacità gestionale per la riduzione di scala di molti servizi e con l’emergere di naturali egoismi regionali che finiranno per nuocere a tutto il paese.
Già la Commissione europea e la Banca d’Italia hanno messo ben in evidenza i guasti di questa riforma, guasti che ho cercato di documentare su questo giornale in diversi interventi e che derivano dalla trasformazione del bilancio pubblico italiano da un bilancio di spesa diretta da parte dello Stato a un bilancio di trasferimenti obbligati alle regioni.
Con l’attribuzione di un numero esorbitante di competenze alle regioni e con la definizione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) per le spese relative a molti di questi servizi, lo stato sarà obbligato per legge a trasferire alle regioni quote rilevanti della spesa pubblica su cui non potrà più esercitare alcuna attività di razionalizzazione e di compensazione perché destinate alle regioni indipendentemente dall’evoluzione congiunturale del paese e da qualsiasi altro evento.
Questa spesa sarà presumibilmente indicizzata automaticamente, posto che i Lep definiti dal parlamento rappresenteranno livelli di spesa a cui dovranno corrispondere servizi reali essenziali concessi dalle regioni, per cui ogni aumento di costo dovrà essere finanziato automaticamente per non ridurre i livelli reali dei servizi definiti dal parlamento.
Ne deriverà che il ministero dell’Economia e finanza sarà costretto ogni anno ad adeguare la spesa pubblica all’inflazione, vedendola aumentare continuamente e avrà pertanto solo la possibilità di aumentare le tasse per finanziare questa spesa ormai sganciata dalla volontà politica del governo.
Nord penalizzato
È ovvio che l’aumento della pressione fiscale che deriverà da questa riforma non potrà che penalizzare le regioni del Nord che finiranno per pagare con gli interessi la loro pretesa di autonomia.
È una nemesi che anche Stefano Fassina ha messo ben in evidenza in un suo recente libro che incita il Nord del paese a rifiutare una riforma che finirà per penalizzarlo.
Accanto a questa perdita di capacità di gestione del bilancio pubblico e conseguente aumento della pressione fiscale, v’è poi da prevedere l’emergere fatale di egoismi regionali che non gioveranno affatto agli italiani e finiranno per rendere sempre meno gestibile un paese che, di per sé, è già poco gestibile. Le regioni sono state disegnate a suo tempo, sulla base della storia italiana, senza alcun riguardo alle agglomerazioni urbane che si sono verificate nel dopoguerra, sicché esse sono inadatte all’organizzazione di molti servizi.
Per la sanità, la dimensione regionale è troppo vasta, perché per le persone il ricorso ai servizi sanitari non può che essere al massimo provinciale se non comunale: avere una gestione regionale complica le cose e non aggiunge nulla ai cittadini.
Per i trasporti le regioni, invece, sono troppo piccole e mal centrate, posto che i poli di attrazione non convergono verso il capoluogo regionale, ma spesso sono su articolazioni interregionali: Verona è una città veneta che gravita su Milano ben più che su Venezia, come Biella e Novara che gravitano poco su Torino e molto su Milano.
Lo stesso vale per Terni o Grosseto che gravitano su Roma pur essendo entrambe fuori dal Lazio.
In altre parole, l’organizzazione dei trasporti non può essere legata a confini amministrativi disegnati dalla storia, ma dai processi di scelta autonoma dei cittadini. Sanità e trasporti sono servizi tradizionalmente già devoluti alle regioni, con risultati pessimi, come si può constatare dal giudizio degli utenti. Devolvere altre competenze aggraverà questo malcontento. Organizzare i servizi su base regionale porterà a scelte subottimali con il sacrificio delle esigenze dei cittadini e l’emergere di egoismi regionali.
Già ne abbiamo avuto il caso con la tentazione di alcune regioni a non accettare sul proprio territorio impianti per la produzione di energia nel presupposto di avere già capacità sufficiente per i propri abitanti. O casi di omissione di infrastrutture se queste beneficiano soprattutto gli abitanti di altre regioni.
Un esempio minimo ma significativo lo si può trovare al confine tra Lazio e Toscana, dove la via Aurelia, a doppia corsia fino al confine con la Toscana, diviene improvvisamente a una sola corsia per una ventina di chilometri fino al promontorio dell’Argentario, in provincia di Grosseto, ma frequentato prevalentemente da romani, sicché è da presumere che non ci sia una grande urgenza ad adeguare quel tratto di strada di competenza della Toscana.
Episodi di egoismo regionale rischiano di aumentare in futuro se ci saranno sempre più competenze devolute alle regioni, con il risultato di frammentare il paese e generare tensioni politiche e sociali che ridurranno la già scarsa capacità di gestione di un paese che avrebbe invece bisogno di maggiore senso di collaborazione tra tutti.
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