Nessuna dichiarazione all’ingresso del vertice «sulla pace e sulla sicurezza dell’Ucraina» organizzato da Emmanuel Macron, niente conferenza stampa e nessuna dichiarazione all’uscita. Per Giorgia Meloni il viaggio di Parigi andata e ritorno ha certificato la posizione defilata del nostro paese.

A Roma gli alleati Lega e Forza Italia per un giorno hanno rispettato la tregua interna, ovvero non si sono pizzicati l’un l’altro. E così a mezzo pomeriggio palazzo Chigi ha stilato un comunicato che dimostra che la premier nella capitale francese ha fatto poco più che una visita di cortesia.

Mentre i paesi europei cercano confusamente un protagonismo del Vecchio Continente nella «pace» che nel frattempo trattano Usa, Russia e Ucraina, il governo italiano guarda verso l’altra sponda dell’oceano. Il «continuo sostegno» all’Ucraina, si legge nel testo, deve trovare «fondamento nel contesto euroatlantico». La premier propone un modello che ricalchi l’articolo 5 del Trattato Nato (le nazioni «concordano che un attacco armato contro una o più di esse sarà considerato un attacco contro tutte»).

Macron, secondo Meloni, ha chiesto «un approfondimento», ma nelle dichiarazioni post vertice non se ne trova traccia. L’Italia ribadisce «che non è prevista alcuna partecipazione nazionale a una eventuale forza militare sul terreno», chiede «di continuare a lavorare con gli Usa per fermare il conflitto», auspica «il coinvolgimento di una delegazione americana al prossimo incontro di coordinamento». Sempreché Trump sia interessato a inviare un suo rappresentante alla riunione degli «scrocconi» europei.

Volenterosa ma fuori

L’Italia dunque è di fatto a lato della “coalizione dei volenterosi”, qualsiasi forma prenda – e al momento non ne ha una definita – l’ala destra della maggioranza – FdI e Lega – è soddisfatta ma nessuno ha rivendicato la scelta.

Quelli della Lega per richiesta della premier a Salvini di abbassare i toni e non pasticciare la già confusa posizione internazionale del governo. In mattinata a Montecitorio, in commissione, Guido Crosetto si è attestato sulla linea di difesa dell’aumento delle spese militari: «Nessuno può pensare di costruire la sicurezza di un paese prevedendo scenari bucolici». Il ministro della Difesa ha ribadito la proposta concordata nel vertice a tre del giorno prima.

La presenza di un contingente italiano in una forza di caschi blu è ipotizzabile – ma solo ipotizzabile – sotto l’ombrello dell’Onu: «Sarebbe frutto di una decisione del Consiglio di sicurezza, dove ci sono anche la Russia e la Cina, se si deve arrivare a una interposizione di qualsiasi tipo è giusto che siano coinvolti tutti». Ma è difficile che in questo eventuale contingente siano chiamate le truppe dei paesi che hanno sostenuto militarmente l’Ucraina contro la Russia.

Mattarella: urgono scelte

A suonare la sveglia a tutti, leader europei compresi, è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Appare essenziale una riflessione sul nuovo contesto strategico internazionale che naturalmente richiederà conseguenti processi decisionali», ha detto ricevendo al Colle una delegazione dell’Aeronautica militare, «vale per le decisioni nel contesto dell’Alleanza atlantica e vale per le decisioni nell’Ue che non sono più rinviabili».

Sarebbe un tema cruciale anche per le opposizioni, e in particolare per il Pd che, prima o poi, dovrà sciogliere i nodi con gli altri leader socialdemocratici. Ma le minoranze procedono in ordine sparso. Una parte accusa Meloni di essersi ridotta «a ruolo di imbarazzata e imbarazzante comparsa» (Riccardo Magi, +Europa), di restare «sospesa nello scegliere tra Trump e l’Europa, condizionata dalle divisioni nella sua maggioranza, indecisa sulla strada da prendere» dunque «impedisce all’Italia di avere una posizione chiara nella coalizione dei volenterosi», secondo Enrico Borghi di Iv: «Viene da chiedersi cosa ne pensa Tajani, il cui partito europeo è in prima fila in questa iniziativa, a cominciare da von der Leyen e Tusk». Tajani, dal canto suo, si è limitato ad annunciare la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina in programma in Italia il 10 e 11 luglio prossimi.

La piazza no armi

Dall’altra parte ci sono i Cinque stelle che preparano la piazza del 5 aprile, ormai sostanzialmente contro le spese militari, con l’intenzione non amichevole di lavorare ai fianchi del Pd. Ieri è stata calendarizzata la loro mozione contro il Piano di riarmo di Ursula von der Leyen. Sarà discussa il 7 aprile, subito dopo la manifestazione. Dove Avs ci sarà, Azione e Iv no.

Il Pd non ha deciso, ma fonti vicine alla segretaria scommettono che alla fine non sarà inviata una vera delegazione dem: c’è il rischio che il partito di Elly Schlein finisca invischiato in qualche dichiarazione indigeribile di Giuseppe Conte.

Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo e prima fila del sì al riarmo, già manda un avviso: «In queste ore sulle parole d’ordine della manifestazione si stanno unendo con iniziative similari comitati No Nato e proxy della propaganda russa nel nostro Paese». La replica M5s è durissima. Ma in realtà Picierno parla più al suo partito che a quello di Conte.

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