Gli europei dicono di non avere alcuna intenzione di smagliare la lista di sanzioni attive contro la Russia. Anzi, a detta di Emmanuel Macron – che sostiene di aver «modestamente aiutato coi britannici a convincere Zelensky» ma per il resto assegna «la vittoria di un eventuale cessate il fuoco a Trump» – qualora Vladimir Putin si sfili sullo stop alle ostilità sarà il presidente statunitense per primo «a sentirsi tradito e a dover reagire».

Le negoziazioni vanno avanti e il quadro resta instabile. Di questo fulmineo piano trumpiano per la pace – che così fulmineo evidentemente non è – si hanno così poche evidenze che pure Macron, così abituato a intestarsi le iniziative e orgoglioso di ribadire che con Trump si sente costantemente, questa volta per descriverne il corollario europeo deve partire dal negativo: fa prima a dire che cosa non sono, le forze che Francia e Gran Bretagna si dicono pronte a pilotare.

«Forces de réassurance»

«Non vogliono essere forze di mantenimento della pace. Non vogliono essere forze presenti sulla linea di contatto. Non vogliono sostituirsi all’esercito ucraino». All’uscita dall’incontro parigino di giovedì al quale ha preso parte una trentina di leader – Giorgia Meloni e altri premier europei, Ursula von der Leyen e António Costa per l’Ue, Mark Rutte per la Nato, il britannico Keir Starmer e pure il vice di Erdogan – il presidente francese si è visto costretto a dare qualche elemento in più su quelle che già il giorno prima, al fianco di Zelensky, aveva battezzato con tutti gli onori come forces de réassurance (“forze di garanzia” o “forze di rassicurazione”).

Staranno in seconda fascia. Saranno «forze di dissuasione». Non sono forze di mantenimento della pace, non saranno nella zona calda. E, tra i tanti «non» che Macron ha messo in fila questo giovedì, «non c’è unanimità» neppure nella coalizione di volonterosi. Parteciperà dunque «qualche stato membro». In nessun caso queste forze si sostituiranno al fianco est dell’Alleanza atlantica o ne ridurranno la portata, assicura il presidente francese.

«Dobbiamo ottenere risposte molto specifiche: quali paesi saranno coinvolti sul terreno, in aria e in mare in Ucraina? Dove esattamente verranno dispiegate queste forze? Quale sarà la loro dimensione e struttura? Quali saranno le procedure di risposta in caso di minaccia?». Lo stesso Zelensky è uscito dall’incontro all’Eliseo postando su Telegram una sfilza di quesiti.

Chi conosce il gergo militare ha dimestichezza con forze di peacekeeping o di peace enforcement, mentre il formato macroniano sfugge alle solite definizioni e a giudicare dallo stesso termine – «rassicurazione» – potrebbe rivelarsi poco più che una pacca sulla spalla data a Volodymyr Zelensky che insiste: «Se ci si mostra deboli ci mangiano». Lo ha detto a Le Figaro, ventilando anche una nuova offensiva che Putin starebbe preparando per questa primavera, come rivelatogli dai suoi servizi d’intelligence.

Nel frattempo traspaiono però tristi aggiornamenti su quell’accordo per le risorse che alla Casa Bianca non fu firmato perché Donald Trump voleva ottenere di più. «Non è stato firmato finora perché Washington lo modificava costantemente», ha chiarito il presidente ucraino; il segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump ritiene che adesso il testo sia quasi pronto e che «la firma sia possibile la prossima settimana».

Con quale differenza rispetto a prima? Federico Fubini ha seguito le tracce di una risoluzione voluta dall’area zelenskiana in parlamento a Kiev, nella quale si parla persino di risarcire le industrie Usa in caso di guerra. Dunque non si tratta solo di una cessione di risorse, ma con in più gli ucraini a garantire gli americani: paradossale.

Ma come, quando Trump ha fatto il vago sulle garanzie di sicurezza (che infatti non ha garantito), non sosteneva forse che la stessa presenza di imprese americane avrebbe garantito un intervento Usa in caso di recidive russe? E invece…

I rapporti euroatlantici

In attesa che la «réassurance» – la dissuasione – sia qualcosa di concreto, i franco-britannici in verità vogliono rafforzare l’esercito di Kiev più che lanciare il loro oltre l’ostacolo. «Su questo c’è unanimità» dei volonterosi, dice Macron: «Io e Starmer diamo mandato ai nostri capi delle forze armate per preparare il formato dell’armata ucraina di domani e pianificheremo di conseguenza i contributi dei membri della coalizione».

Nel frattempo Meloni fa tanto di nota per «sottolineare l’importanza di continuare a lavorare con gli Usa» auspicando «il coinvolgimento di una delegazione Usa al prossimo incontro di coordinamento». Ma al momento Trump e Macron se la vedono tra di loro per telefono, «costantemente», esibisce l’Eliseo, mentre il presidente francese lancia un appello a Xi Jinping: «Mi auguro che la Cina svolga un ruolo attivo per la pace».

Quanto alla collaborazione per le garanzie di sicurezza, il problema pare non essere che manchi un invito europeo (anzi), ma che gli Usa non vengano al ballo. Il sostegno Usa non è necessario?, chiedono i cronisti a Macron. Che risponde: «Uso un approccio stoico. Non possiamo decidere che per noi stessi».

Il presidente francese – lui che sente Trump tutti i giorni al telefono e che sosteneva di aver spuntato il backstop alla Casa Bianca – arriva a dire che «l’uscita dallo stato di minorité, dalla condizione di inferiorità geopolitica e infantilismo, è cosa buona per l’Europa».

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