Durante vari incontri che ho tenuto per il 27 gennaio ho avuto l’occasione di parlare e confrontarmi con varie persone sul Giorno della memoria e su quello che avvenendo oggi, e su come tutto ciò stia influendo sulla discussione geopolitica e sulla percezione della Shoah.
Ho parlato con ebrei e non ebrei, tutti egualmente in grande disagio, disorientati per quello che sta accadendo da ambo le parti. Parlare è possibile, ci sono spazi di dialogo, ed è una necessità primaria, rimanere sempre isolati è la condizione di non ritorno per tutti.
In tutto l’occidente c’è una vera e propria ossessione nei confronti del genocidio: l’ultimo è stato il cantante Ghali che dal palco di Sanremo ha detto «Stop al genocidio» in riferimento a Gaza.
Il tipo di narrazione storica e politica proposto in questi anni attorno la Shoah ne ha fortemente modificato la comprensione, creando una pesante deformazione della percezione attorno alle vittime di tutte le varie tipologie dei grandi crimini contro l’umanità, dal genocidio alla stupri, dalle deportazioni di massa ai massacri.
Credo che anche la stessa operazione messa in atto dal Sudafrica, paese comunque all’interno della schiera dei cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), confermi questa deriva.
Il procedimento all’Aja
Attenderemo le decisione della Corte internazionale, ma a mio modesto avviso, le accuse mosse nei confronti di Benjamin Netanyahu e del suo governo sarebbe state molto più centrate se avessero avuto come oggetto i crimini di guerra (vedi Dresda o deportazioni forzate) e non il genocidio.
Sempre per quanto concerne la mia conoscenza della Shoah, le stesse “prove” portate dagli accusatori e in buona parte recepite dalla Corte, sono al contrario la testimonianza della possibile innocenza di Israele dall’accusa genocidaria.
Cosa voglio dire: le sconsiderate e apertamente manifeste affermazioni dei politici di estrema destra israeliani contro i palestinesi sono la prova che essi hanno intenzioni esclusivamente politiche. La volontà è quella di ricompattare (anche per salvare la propria carriera) e occultare l’enorme e clamoroso fallimento delle loro politiche, prima e dopo il 7 ottobre.
Quelle sgangherate, ma dolose affermazioni, raccontano invece della loro incapacità di saper governare civilmente un paese, se vogliamo tradendo le stesse tradizioni di Israele, che ha subito altri pesanti attacchi nella sua storia.
Cosa è stata la Shoah
È sempre scivoloso fare certi paragoni, ma credo che Israele nel corso della sua tormentata storia abbia subito anche attacchi peggiori, dal 1948 a oggi: quattro guerre, 1948, 1956, 1967 e 1973, due intifada, senza dimenticare altri numerosissimi attacchi terroristici, Israele ha la responsabilità della risposta all’attacco e poteva avere le spalle grandi (e l’esperienza) per una risposta migliore.
Una leader come Golda Meir aveva segnato la strada dicendo : «Noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri».
La Shoah fu tutt’altro, in nazisti misero in atto una grande opera di occultamento e mistificazione, mai sono stati trovati ordini o disposizioni dirette da parte dei gerarchi, tutto fu oscurato e l’ordine principale fu quello di nascondere tutte le prove dei crimini che si stavano compiendo durante la loro guerra. Himmler a Poznań, in Polonia, nell’ottobre del 1943, disse agli ufficiali SS: «Questa storia non sarà mai scritta».
Altro che dichiarazioni alla stampa. Per buona memoria ricordiamo che la cosa più vicina ad un prova diretta, è una breve frase ritrovata nell’agenda personale di Himmler, scritta dall’indomani di alcuni riunione con Hitler e i Gauleiter (capi regionali del partito) nel dicembre del 1941 dove si appuntava “sterminare come partigiani”.
Naturalmente le affermazioni dei politici israeliani sono gravissime non devono essere minimizzate, sono da condannare duramente, ricordando che in tutti i casi di violenze di guerra, genocidio compreso, le parole hanno avuto un peso enorme nell’incitamento alla violenza.
Una strana “passione”
Dovremmo domandarci al di là delle singole posizione perché abbiamo questa “passione genocidaria”, parafrasando il titolo di un importante libro dello storico della Shoah Georges Bensoussan. Purtroppo l’argomento alza un tasso di morbosità fuori dal comune, ogni pensiero razionale è travolto da passione e emotività che non permettono alcuna riflessione pertinente.
Tutto questo nasce perché interpretiamo i crimini di massa come se fossero messi in una sorta di classifica, creando quindi una graduatoria vittime e dei relativi dolori: un morto per genocidio è più vittima di uno per strage oppure di un incidente stradale dovuto da un ubriaco.
Quest’ultimo passaggio è volutamente provocatorio per capire l’insensatezza di questa mentalità. Non è pesando il dolore e la sofferenza delle persone che rendiamo giustizia alla vittime, ma soprattutto non ci consente di comprendere la gravità di quello che è avvenuto.
Il genocidio è il crimine più radicale e assoluto perché non lascia scampo alle vittime, ma questo non rende le vittime di questo delitto più vittime di altri crimini.
Quello che credo visto che ormai tutto è paragonato alla Shoah, anche con paralleli irriguardosi – l’olocausto animale oppure quello dei tassisti con Uber(?) –, è la diffusa convinzione che solo il genocidio sia un crimine da perseguire e da far risaltare, mentre tutti gli altri crimini di guerra o contro la pace, siano inferiori, non degni della medesima attenzione.
Questo morbosità diventa ancora più grande se di mezzo ci sono gli ebrei, ovvero se il popolo vittima diventa il popolo carnefice, l’apoteosi del complottismo e dell’antisemitismo in generale.
Evitare parallelismi
Vogliamo fare un’opera veramente rivoluzionaria, e forse concreta nell’ottica della comprensione, togliamo di mezzo il genocidio da quello che sta accadendo, giudichiamo i fatti senza parallelismi azzardati.
Uno stato e un popolo, Israele e gli ebrei hanno subito un pogrom terroristico da parte di Hamas estremamente violento e organizzato, aggravato da stupri e rapimenti vigliacchi, questo stato ha risposto cadendo nel tranello dall’aggressore, reagendo andando fuori scala spesso colpendo altrettanti civili innocenti, vincendo la guerra sul territorio ma perdendo quella mediatica.
Joe Biden aveva messo in guardia Netanyahu, «non fate il nostro stesso errore» riferendosi all’11 settembre, che è forse l’evento recente più simile a quello che era accaduto, gli Stati Uniti all’epoca guidati dal repubblicano Bush jr hanno perso due volte in quella situazione, colpiti al cuore da Al Qaida e dopo vent’anni di occupazione dell’Afghanistan abbiamo ancora i talebani (sic!). Siamo forse sulla stessa strada.
La Francia ferita più volte dal terrorismo di matrice islamica ha mantenuto di nervi salvi e ha perseguito tutti i colpevoli secondo le leggi repubblicane non cercando vendette trasversali.
Sarò controcorrente, purtroppo ancora oggi l’unica opzione sul tavolo è quella dei due popoli due stati, ed è stata quella che ci ha portato qui perché ha di fatto alimentato i rispettivi nazionalismi, come ho già scritto la soluzione per me più proficua è quella di uno stato sul modello Svizzero, federale che in costituzione sancisca e tuteli le specificità del sionismo, dell’ebraismo e i diritti di tutti i cittadini che comporrebbero quel paese.
In qualche modo costringere i rappresentanti dei due popoli a parlare, trovare accordi per la condivisione dello stessa terra e le sue risorse.
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