I giovani sono tornati al centro della cronaca, talvolta anche loro malgrado. La loro voce si è scontrata con un muro di repressione, ma andrebbe invece ascoltata
I giovani, soprattutto gli studenti, hanno riconquistato le prime pagine dei giornali. Grazie alle proteste e ai manganelli che si sono levati sulle loro teste. A Torino, negli scorsi mesi, la polizia ha caricato gli studenti in diverse occasioni. Il 22 dicembre, gli scontri sono avvenuti a Roma. Il 23 febbraio è stata la volta di Pisa e Firenze durante le manifestazioni pro-Palestina.
In questo caso, però, le immagini delle teste sanguinanti degli studenti, e la sproporzione della reazione delle forze dell’ordine, hanno provocato un coro di proteste a livello nazionale. È intervenuto anche il presidente della Repubblica a ricordare che «con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».
A far discutere, però, sono anche le modalità della protesta giovanile. In diverse occasioni, li abbiamo visti bloccare le strade, imbrattare monumenti e opere d’arte, ostacolare dibattiti e impedire a chi non la pensa come loro di parlare. È successo con David Parenzo alla Sapienza di Roma e con il direttore di Repubblica Maurizio Molinari alla Federico II di Napoli.
Invitati a discutere, i giovani-contestatori si sottraggono al confronto, urlando ai loro interlocutori che non hanno diritto di parola. In alcune frange, poi, si assiste ad un ritorno di forme di estremismo e di intolleranza ideologica. In questi casi, a suscitare preoccupazione non è tanto il conflitto e la contestazione ma il prevalere di retoriche dell’intransigenza, che vanno contrastate con decisione.
Mattarella ha colto nuovamente con lucidità e saggezza il punto essenziale: «Quel che vi è da bandire dalle Università è l’intolleranza» di «chi pretende di imporre le proprie idee impedendo che possa manifestarle chi la pensa diversamente».
Una nuova generazione
A suscitare preoccupazione, dunque, è sia l’intolleranza di alcune manifestazioni di protesta, sia la risposta talvolta fuori misura della polizia. Ma in realtà sarebbe bene che il fuoco dell’attenzione si spostasse anche sui giovani che sono scesi in piazza. Perché sono tornati a farsi vedere e sentire. Sui temi dell’antifascismo e dell’istruzione, così come su quelli della parità di genere e del cambiamento climatico. L’Italia, un paese di anziani, ha bisogno di ascoltare la loro voce e di comprendere i motivi del loro disagio. Senza però alcuna indulgenza verso le forme violente di protesta.
Per questo la rivista Il Mulino ha dedicato l’ultimo numero monografico proprio a loro (La giovane Italia, n. 4/23). Perché, sulla scena, si sta affacciando una nuova generazione. Diversa dalle precedenti sotto molti aspetti.
Sono i giovani della policrisi. Nati dopo il crollo del muro di Berlino e nel mezzo di una rivoluzione tecnologica che li ha dotati di nuovi strumenti di informazione, comunicazione e interazione. Hanno vissuto la loro adolescenza e prima maturità negli anni successivi alla Grande recessione del 2008 sperimentando, insieme al declino economico del nostro paese, una forte precarizzazione del mercato del lavoro.
Inoltre, vivono una drastica accelerazione della crisi climatica e il ritorno della guerra e del rischio atomico nel continente europeo. C’è da stupirsi se si sentono “a rischio”? Il loro futuro è diventato radicalmente incerto. E questo tratto li caratterizza e li differenzia dalle generazioni nate nei decenni post-bellici del secolo scorso, che hanno vissuto la loro adolescenza in un clima di relativo ottimismo.
Seppure in forma embrionale, stiamo anche assistendo alla nascita di una nuova generazione politica, attenta all’equità e sostenibilità dello sviluppo. Per rendersene pienamente conto può essere di aiuto un sondaggio condotto dal Centro “Luigi Bobbio” dell’Università di Torino, che ha coinvolto 1.600 cittadini italiani, inclusi 600 giovani tra i 18 e i 34 anni.
Dai dati affiora una netta tendenza alla politicizzazione, con uno stile peculiare, che mescola l’avversione verso la partecipazione politica convenzionale (il voto, l’iscrizione ai partiti) e una spiccata disponibilità verso la mobilitazione pubblica non convenzionale.
Durante lo scorso anno, infatti, oltre la metà dei giovani ha preso parte con una certa regolarità a manifestazioni politiche e di protesta, iniziative per la pace, per l’ambiente e per problemi relativi alla propria città e altro ancora. Con tassi di partecipazione superiori a quelli delle altre classi di età.
Nel confronto intergenerazionale, inoltre, colpisce la diversa collocazione sull’asse sinistra-destra. Per due aspetti distinti. Il primo è che quasi il 40 per cento degli under-35 rifiuta di collocarsi sull’asse sinistra-destra: una percentuale che è di 10 punti superiore a quella presente nel resto del campione.
Il secondo è che i giovani si stanno spostando a sinistra. Il 38 per cento si colloca su posizioni di centro-sinistra, mentre appena il 19 per cento si identifica nel centro-destra. Nelle altre classi di età, invece, si osserva un maggiore equilibrio tra i due schieramenti.
Giacimenti nascosti
Questa mobilitazione giovanile rappresenta una opportunità. Perché per fare ripartire l’Italia dobbiamo saper valorizzare i giacimenti nascosti del nostro paese: i giovani e le donne. Ma affinché questa opportunità non si trasformi in un'altra “notte della Repubblica”, dobbiamo fare molta attenzione alle scelte che verranno fatte nei prossimi mesi.
Se le istituzioni si chiuderanno a riccio, fornendo una risposta securitaria e repressiva alle domande dei giovani, allora entreremo in una spirale di violenza che il nostro paese ha già conosciuto in passato. Ma lo stesso avvertimento vale sul fronte dei giovani. Se la domanda di senso e l’insicurezza che fronteggiano come generazione li spingerà a cercare le scorciatoie semplificanti dell’intolleranza ideologica, allora l’esito sarà lo stesso.
L'inverno del loro scontento si trasformerà nell’inverno della democrazia.
Un'altra strada è possibile. Varie indagini condotte in Europa mostrano che la maggioranza dei giovani esprime un robusto attaccamento alla democrazia e ai diritti civili. Questa nuova generazione di italiani e di europei, che sta crescendo in un contesto più aperto e plurale sotto il profilo etnico-religioso e in una nuova epoca di politeismo valoriale (a là Weber), potrebbe diventare la protagonista per eccellenza di quello che Charles Sabel e William Simon hanno definito lo “sperimentalismo democratico”.
Una modalità di governance delle democrazie che, pur accogliendo il conflitto, è basata su forme di apprendimento e di problem-solving pragmatiche e collaborative, aperte verso punti di vista molto diversi tra loro. In altre parole, un approccio decisionale particolarmente adatto per le società complesse, in questa epoca di radicale incertezza verso il futuro che richiede soluzioni audaci e innovative.
Proprio per questo dobbiamo chiedere ai giovani il coraggio di discutere, esponendosi al confronto delle idee. Perché né noi né loro possiamo permetterci la pigrizia del fanatismo ideologico. E perché oggi, ancor più che in passato, abbiamo tutti bisogno di una democrazia solida e inclusiva.
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