La decisione della premier Giorgia Meloni di ritirare la querela contro Domani ci aveva fatto sperare, appena qualche giorno fa, in un cambio di rotta nei rapporti tra la leader e la stampa italiana. La scelta dell’ex missina era infatti avvenuta quasi in contemporanea alle parole durissime del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in merito alle pressioni e le intimidazioni contro la libertà di informazione, che il Colle aveva definito come «atti eversivi contro la Repubblica».

Speravamo che il beau geste di Meloni fosse non un accadimento episodico, dovuto forse al timore di perdere una lite temeraria davanti ai giudici, ma un rinsavimento politico verso il necessario equilibrio che il potere deve avere, almeno in quelle che definiamo democrazie liberali, nei confronti del giornalismo indipendente.

Eravamo stati troppo ottimisti. Martedì la presidente in missione in Cina, davanti alle critiche dell’Unione europea e di associazioni indipendenti finanziate dall’Ue sulla disastrata situazione della stampa in Italia, ha attaccato di nuovo Domani, insieme al Fatto Quotidiano e Repubblica.

Il nostro giornale sarebbe infatti reo di aver di fatto «indirizzato» le critiche al governo delle destre rivolto dai due report. E lo avremmo fatto in quanto «portatori di interessi» specifici.

Parole gravi, false e soprattutto pericolose. A cui sono seguiti a ruota articoli da parte dei giornali di destra e sedicenti fogli liberali, che hanno fatto una sorta di lista di proscrizione dei colleghi (come i nostri Francesca De Benedetti e Nello Trocchia) “colpevoli” di aver interloquito con gli osservatori di Media Freedom, che banalmente hanno cercato di capire dai diretti interessati l’origine di attacchi legali da parte di membri dell’esecutivo. Attacchi che - spiega Media Freedom - hanno portato «a un declino della libertà di stampa negli ultimi due anni». Per la cronaca, nessun membro del governo - nonostante richieste e sollecitazioni - ha voluto incontrare gli emissari europei.

Meloni, invece di entrare nel merito della gestione della Rai e relative censure e propagande, invece di spiegare come mai inchieste e articoli vengono sistematicamente querelati da ministri e sottosegretari (con le procure della Repubblica che - su indicazioni del potere politico - lavorano addirittura a individuare le fonti dei giornalisti, che per il Media Freedom Act dovrebbero essere protette dalle autorità nazionali), ha scelto la sua arma preferita: quella del vittimismo.

Provando, per l’ennesima volta, a delegittimare chi continua a fare il proprio dovere e che non accetta l’appeasement che Palazzo Chigi, evidentemente, si aspetta dal quarto potere.

Definire Domani e le altre due testate «portatori d’interesse» serve esattamente a questo: screditare chi prova a fare informazione libera, facendo credere alla pubblica opinione che le notizie su uno dei peggiori governi della nostra repubblica non siano frutto di attività autonoma, ma che la critica sia sottomessa a chissà quali interessi opachi. Certamente di parte.

La cappa calata sui media nazionali è invece realtà evidente a chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale. Ci si aspetterebbe da un capo di governo maggiore responsabilità di fronte alle critiche di Bruxelles, soprattutto dopo quanto accaduto con l’aggressione al cronista della Stampa Andrea Joly da parte di CasaPound e le demenziali parole del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha attaccato il comportamento del reporter massacrato dai fascisti.

Ahinoi Meloni ha scelto invece la strada del complottismo, fregandosene altamente anche del monito di Mattarella. Ai nostri lettori promettiamo solo una cosa: di continuare a fare il nostro lavoro. Perchè è vero che siamo portatori di interesse. Ma di uno solo: il loro.

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