Il governo Meloni procede come un Giano bifronte, con due facce opposte. Pragmatica e in continuità con l’impostazione tradizionale del nostro paese in politica estera, repressiva e autoritaria in politica interna.
Gli ultimi interventi della presidente del Consiglio all’assemblea dell’Onu sono in gran parte condivisibili: un richiamo a Israele perché trattenga la sua pulsione bellica che lo spinge a intervenire come e dove ritenga utile (indipendentemente da ogni norma internazionale, aggiungiamo noi), un sostegno roccioso all’Ucraina senza cedere però ai rischi di un ulteriore innalzamento del livello di scontro con l’uso delle armi occidentali per colpire il territorio russo e, infine, un ritorno a più miti consigli sul piano europeo con la convergenza sulla Commissione von der Leyen, peraltro favorita dallo sbandamento a destra di quest’ultima.
Sembrano lontani i tempi – ma erano solo cinque anni fa – nei quali, la leader di FdI convocava i militanti davanti a Montecitorio per protestare contro la nomina di Paolo Gentiloni a commissario europeo perché frutto di un inciucio (sic) tra poteri forti. Bene chi si ravvede dei propri errori di gioventù: ma non faccia la morale a chi non farà sconti a Raffaele Fitto nelle audizioni del parlamento europeo.
Sbandamenti interni
A ogni modo, sul piano internazionale, l’esecutivo Meloni, dopo lo scarto sul voto alla presidente della Commissione europea e le autolesioniste bizze su Mes e Patto di stabilità, si muove rispettando sostanzialmente le linee guida dei governi passati.
Dove invece sbanda paurosamente è in politica interna. Qui si aprono falle su ogni lato. Sul piano fiscale le norme pro evasione non si contano più, tra sconti, condoni, amnistie, e riduzione di ammende per gli autonomi, i pupilli della destra. Per non parlare dei pasticci sulla tassazione degli extraprofitti, ora tornati di attualità.
Alla torsione a favore di alcune categorie protette e benedette dalla destra, si contrappone poi il rigore per chi non sventola le bandierine a favore del governo. Il pacchetto cosiddetto sicurezza, approvato alla Camera, è la cartina di tornasole dalla vena autoritaria e illiberale di questo governo.
Ovviamente i liberali che percorrono spavaldi lo spazio pubblico si sono ben guardati da aprire bocca su questo tema. Eppure qui è in gioco lo stato di diritto. L’inasprimento delle sanzioni con il passaggio in molti casi dall’ammenda al carcere e l’equiparazione della protesta e della resistenza passiva non-violenta ai reati che comportano lunghe incarcerazioni, riflettono l’orientamento ideologico della maggioranza.
Già l’incipit del governo Meloni indicava la strada, con i rave party elevati a delitti gravissimi, da punire fino a sei anni di carcere. Ora, questa gragnuola di provvedimenti repressivi palesa la totale estraneità del mondo della destra alla cultura liberale del dissenso e della protesta. E questo vale anche per quell’ectoplasma politico-culturale che è Forza Italia, i cui sussurri critici sono appena udibili e senza alcun impatto.
Non disturbare il manovratore
Risuonano spudoratamente false le parole di Giorgia Meloni al suo insediamento alle camere quando esortava i giovani a impegnarsi direttamente in politica. Basta non disturbare il manovratore. Se un tempo dalle sue parti si faceva e si giustificava di tutto pur di opporsi al “regime”, oggi che si ha il bastone del comando lo si fa calare con tutta la sua forza contro chi si oppone.
C’è un forte sentore orbaniano, se non putiniano, nel reprimere la disubbidienza civile e la protesta non violenta. Nonostante ciò, proprio in questi giorni c’è chi si muove lungo questa linea. Il sindaco di Faenza, città martoriata dalle alluvioni, ha preso carta e penna per annunciare al presidente della Repubblica che, di fronte alla vergognosa inazione del commissario per l’emergenza dell’Emilia-Romagna, il generale Francesco Paolo Figliuolo, che si preoccupa più di gestire le missioni militari all’estero andando in giro per mondo che non occuparsi di un territorio che non conosce nemmeno, agirà in deroga a lacci e lacciuoli per intervenire a proteggere il suo territorio.
Vedremo se anche su questo gesto di coraggio, nel suo piccolo, calerà la mannaia della repressione meloniana. Quel che è certo è che, con il decreto Sicurezza, il governo ha superato la linea rossa: è entrato nell’orbita delle democrature. Il prossimo passo sarà la nomina di servizievoli giudici alla Corte costituzionale. Con il ché il cerchio si chiude.
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