Nicola Zingaretti (capodelegazione Pd a Bruxelles, ndr), ieri pomeriggio il suo partito era in piazza con la Cgil contro il ddl Sicurezza. La destra che vuole punire il dissenso rivela la sua vecchia anima autoritaria, e anche manettara?

La maggioranza introduce oltre venti nuovi reati e nuovi aggravamenti di pena per chi manifesta. È preoccupante. Però nelle stesse settimane rivendica una sorta di impunità per i ministri quando vengono accusati di aver commesso reati. Sono messaggi inquietanti che rivelano la volontà di sovvertire la scala valoriale della Costituzione. Il processo è in atto. Va fermato, con l’opposizione e con il voto, a partire dalle prossime regionali: dobbiamo costruire un progetto di Paese diverso e alternativo. Giorgia Meloni, a New York, ha rivendicato i valori dell’Occidente. Bene, sappia che nelle democrazie occidentali chi vince le elezioni governa, non comanda. La differenza sta proprio nel fatto che tutti e tutte debbono rispettare le stesse leggi, governanti e governati.

Anche la raccolta di firme sul referendum sulla cittadinanza è andata a buon fine. Sindacati e partiti e associazioni hanno raccolto tante firme, dai referendum sul lavoro all’autonomia differenziata a queste ultime. Qualcosa si muove?
Il successo della raccolta firme è un segnale molto positivo per la quantità e per il clima che si respira intorno al tema della cittadinanza. Ora bisogna continuare così. Dopo due anni di governo si comincia a percepire più largamente che la destra cavalca i problemi ma non offre soluzioni. Né tantomeno speranze: e questo è il caso del diritto di cittadinanza.

Intanto la premier Meloni a New York si fa premiare da Musk e fa l’elogio del nazionalismo. Per le prossime elezioni Usa l’Italia scommette su Trump?

L’Italia sicuramente no, Giorgia Meloni non lo so, ma il suo duetto con Musk trasmette questa impressione. E anche in questi giorni colpisce quanto faccia sempre prevalere le sue scelte militanti rispetto a quelle di un capo di governo, che dovrebbe rappresentare un grande Paese, e come nei suoi atti prevale sempre una sorta di risentimento e di voglia di mettersi contro qualcuno. Non è un elemento di forza, ma di debolezza. È una leader dell’opposizione anche quando governa.

In Europa Meloni è diventata il “braccio destro” di Ursula von der Leyen?

Ma figuriamoci, Meloni è la leader del pasticcio di luglio, che vota contro il programma di von der Leyen perché è troppo europeista, e poi usa l’Italia e il suo prestigio per rivendicare posti di potere. Non serve l’Italia, se ne serve.

Il Pd darà il via libera al commissario Fitto?

Lo ascolteremo con attenzione, perché le posizioni del suo partito preoccupano tutta l’Europa. Ma non è il centro della questione che riguarda la prossima Commissione. Anzi, vista l’enormità di quanto sta avvenendo nel mondo, è un regalo alla destra oscurare, o non spiegare abbastanza, la centralità che ha il destino del rapporto Draghi per il futuro nostro e dell’Europa. Anche la speranza di avere un ruolo attivo per la risoluzione delle crisi e delle guerre nel mondo passa per un processo di riforme che sia in grado di rilanciare l’Europa come attore globale. Invece questo processo sembra in pericolo. Il rapporto Draghi ha due grandi meriti: dice la cruda verità e indica una via giusta per ripartire per un’Europa che si renda utile e al servizio delle persone, non può essere riposto nel cassetto dalla futura Commissione.

La «cruda verità» è che l’Europa è in pericolo?

La cruda verità è che questa Unione, senza un salto in avanti nel percorso d’integrazione, non ce la farà mai a garantire sicurezza e benessere. Anche in Europa la crescita della produttività e l’inclusione sociale devono andare avanti insieme. Ma il punto è che l’Italia da sola non è in grado di farcela. Siamo meno di 60 milioni di abitanti, con un Pil di 2mila miliardi, a fronte di Paesi con oltre 1,4 miliardi di persone come la Cina e l’India, e gli Stati Uniti che contano un Pil 10 volte superiore al nostro. Sfide cruciali, saggiamente individuate nel rapporto Draghi, come la produttività e l’innovazione tecnologica, l’inclusione sociale, la decarbonizzazione e l’industria digitale, necessitano di forti politiche pubbliche e investimenti. Risultato che può essere ottenuto soltanto mettendo a fattor comune questi obiettivi con tutti gli stati membri. L’opzione della politica estera e di difesa comune deve essere un pilastro di questa strategia.

Tema, quest’ultimo, però molto divisivo.

Per essere chiari: la scelta non è il riarmo di questa Europa, inesistente e incapace di esistere, ma un processo per costruire un nuovo modello di difesa comune che, nel solco di Altiero Spinelli, faccia fare all’Europa politica un passo in avanti.

Ma il modello di difesa comune non è, scusi il bisticcio di parole, comune neanche al centrosinistra italiano.

Il rapporto si può e si deve discutere in piena libertà in tutti i suoi aspetti, ma l’indirizzo è giusto. Va archiviata la stagione dell’austerità e bisogna capire che le democrazie nazionali, da sole, stanno diventando strutturalmente deboli di fronte alle grandi sfide internazionali. Oltre a questo allarme, il rapporto Draghi indica un’ulteriore via giusta: occorre investire per cambiare, far ripartire il motore dell’economia, facendo debito comune per risolvere sfide comuni. Il cuore dello scontro contro la follia nazionalista è qui: di fronte alla crisi dell’Europa loro dicono “Distruggiamola”. Noi diciamo “Cambiamola”, perché da solo nessuno ha futuro.

Anche sul sostegno militare all’Ucraina le opposizioni non sono compatte. E non lo è neanche il Pd.

Nel Pd convivono posizioni diverse, non è un mistero. Le delegazioni parlamentari non sono soggetti politici “terzi” rispetto al partito: devono rappresentarlo anche in situazioni politiche complesse. A Strasburgo, grazie al senso di responsabilità di tutti, abbiamo garantito uniti il pieno sostegno della delegazione italiana alla posizione del gruppo Socialisti e democratici. Abbiamo rimarcato la posizione del partito negli emendamenti, come hanno fatto altre delegazioni nazionali, ma poi, ripeto, uniti abbiamo votato la posizione del gruppo parlamentare di cui facciamo parte.

Torniamo a Mario Draghi. Crede che Fitto sia in linea con le sue proposte?

Mi auguro di sì e confido che nelle audizioni sia chiaro, anche perché Ecr, il suo gruppo, non lo è stato. Anzi è parso a tutti contrario. Le audizioni saranno un passaggio delicato, per verificare che il mandato politico del voto di luglio corrisponda alla visione e al progetto di lavoro dei commissari per i prossimi anni. L’Europa minima possibile non serve a nulla. Per farcela occorre costruire quella massima necessaria. Occorrerà non distrarsi. Il rapporto Draghi contiene molte cose, ognuno si cimenti nel giudicarlo, ma questo non offuschi la sostanza: è la via giusta per rilanciare e salvare le nostre democrazie.

Invece Fratelli d’Italia non era in aula quando Draghi ha parlato al parlamento Ue. Che segnale è?

Le destre, in Italia e in Europa, sono contro questo impianto, promuovono un’idea di unità caratterizzata dalla deregulation e dal laisser faire contro la costruzione di politiche pubbliche europee strutturate e d’impatto. Siamo di fronte ai soliti limiti del liberismo selvaggio, così inattuale in questo tempo: si spaccia la “solitudine” della persona di fronte a problemi immensi come la sua “libertà”. È vero l’opposto: oggi la solitudine, favorita anche dalla rivoluzione del digitale, è sinonimo di oppressione della persona. Il rifiuto di essere uniti nell’affrontare il futuro è l’esatto contrario dei presupposti sui quali è nata l’Unione: garantire prosperità, uguaglianza, libertà, pace e democrazia. Se non riusciremo a mettere in atto questo progetto, rischieremo di rendere vana la sua ragione d’essere. Occorre una dimensione della politica forte, in grado di guidare e orientare l’innovazione che nel tempo del digitale, tra l’altro, vede giganti attori privati condizionare indisturbati economie, cultura e modelli di vita.

La Ursula von der Leyen della politica dei “due forni” rappresenta davvero questa “politica forte”?

I trattati prevedono un voto da parte del parlamento sulla guida della Commissione, mentre i governi nazionali indicano un commissario. Mai come questa volta siamo in presenza di due maggioranze politiche diverse e la Commissione è apertamente spostata su posizioni più moderate e conservatrici. Non si tratta di affatto applicare la politica dei “due forni”, ma di essere capaci di produrre sintesi giuste. Ma una cosa è chiara: il programma approvato è quello del parlamento. Lo difenderemo, perché bisogna ricreare una speranza nel domani soprattutto tra i giovani. Solo un’Europa più forte e più umana può garantirlo.

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