«Non ci mancherà», ha detto Salvini di fronte all’uccisione di Moussa Diarra per mano armata di un poliziotto a Verona. Lo stato di sofferenza in cui Diarra verteva è il risultato di un preciso disegno politico. Ciò che invece ancora manca è un vocabolario essenziale, un glossario antirazzista di base, che permetta di inquadrare queste dichiarazioni per il ruolo che effettivamente giocano
Moussa Diarra «non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere». Le parole di Matteo Salvini, di fronte all’uccisione di Moussa Diarra per mano armata di un poliziotto a Verona fanno da cornice perfetta al manifesto del razzismo istituzionale made in Italy.
Moussa Diarra era in condizioni di alterazione psico-fisica e avrebbe dovuto ricevere assistenza medica, non essere ucciso. Invece Salvini ha costruito il “mostro” per difendere una presunta operazione di “sicurezza” che ha esposto la vita di Diarra a una morte brutale e prematura. Se la risposta istituzionale alla sofferenza fisica e mentale è un incentivo a premere il grilletto, chi ha bisogno di mettersi al sicuro in questo paese?
Moussa Diarra era passato dalle carceri libiche, di cui l’Italia sovvenziona l’esistenza, ha dovuto affrontare la clandestinità dopo aver perso la protezione umanitaria per effetto dei decreti Salvini; costretto a vivere in un fatiscente stabile occupato, è rimasto senza dimora.
L’amministrazione comunale ha ignorato le sollecitazioni degli attivisti del Paratod@s, che da mesi chiedevano una sistemazione per chi si è ritrovato in strada. Infine, i ritardi della questura di Verona nell’emissione del permesso di soggiorno lo hanno vincolato troppo a lungo al lavoro nero e sottopagato.
Un disegno politico
Le parole di Salvini non richiedono commento. Lo stato di sofferenza in cui Diarra verteva è il risultato di un preciso disegno politico. Ciò che invece ancora manca è un vocabolario essenziale, un glossario antirazzista di base, che permetta di inquadrare queste dichiarazioni per il ruolo che effettivamente giocano.
La premessa a questo glossario sta nella definizione stessa del fenomeno: il razzismo è anche un regime discorsivo, un sistema basato sul potere delle parole di dare forma alla realtà. Basta chiamare una persona con l’appellativo di migrante, maliano, ragazzo, per negarle ogni tratto di “umanità” e ridurla alla concezione di un corpo senza storia, legami o vita interiore.
Si incunea così nella mente l’immagine di una figura minacciosa, un problema di cui disfarsi. Solo i corpi bianchi, per logica implicita, possono meritare l’appellativo di esseri umani: gli altri sono inconsciamente registrati come forme mai evolute dal cosiddetto regno animale o stato di natura.
La prima voce del glossario è dunque quella di suprematismo bianco. La pretesa di supremazia non è prerogativa degli ideologi della razza, ma la premessa fondativa dello stato di diritto che rivendica l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, perché nega a una parte di questi la possibilità di essere riconosciuti come tali. Moussa Diarra, è solo l’ultimo emblema di questo paradosso.
Discorsi d’odio
Il secondo lemma di questo vocabolario essenziale consente di inquadrare le dichiarazioni di Salvini e l’atto omicida del poliziotto di Verona per quello che sono: crimini e discorsi d’odio. Come osserva la giurista Ndack Mbaye, la matrice d’odio che definisce questo tipo di azioni non ha niente a che vedere con la sfera emotiva che muove i perpetratori.
Nessuno d’altronde potrebbe dimostrare che sentimenti abbiano provato il ministro e il poliziotto mettendo fine e poi ingiuriando Diarra. Parlare di crimini e discorsi d’odio serve invece a rivelare il processo di selezione della “vittima”, sulla base della sua assegnazione a uno specifico gruppo sociale, per istigare all’odio contro il gruppo in quanto tale.
A poche ore dalle dichiarazioni di Salvini è stato diffuso il rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, sulla profilazione razziale operata dalle forze dell’ordine italiane. La polizia discrimina e spara (vittimizzazione primaria), ma chi ne denuncia l’illegittimo operato si vede negata la dignità di testimone attendibile della propria stessa esperienza, attivando un secondo ciclo di violenza. La vittimizzazione secondaria lascia aperta la strada a nuovi abusi razzisti.
Si parla di vittimizzazione e non di vittima: chi vive violenza strutturale non è mai una figura passiva, né ha bisogno di un salvatore per liberarsi dal destino imposto. Diarra non è una vittima di quanto ha sofferto, ma proprio perché ha reagito, coi mezzi che aveva a disposizione, la sua immagine è manipolata come una minaccia. Le vittime degne di essere compiante sono solo quelle che soccombono inerti.
Inquietante è il silenzio connivente a sinistra. Tutti pronti a invocare la cittadinanza quando una persona razzializzata vince una medaglia olimpica per l’Italia, tutti muti quando le stesse sono discriminate da politiche escludenti, di cui gli autori non stanno solo a destra.
Il razzismo di sinistra è il quarto lemma di questo glossario. Definisce la storia politica di chi esalta le migrazioni come opportunità di nuova forza lavoro, monopolizza il mercato culturale dell’inclusione offrendo visibilità in cambio di lavoro non retribuito, ma non si sente chiamato in causa quando si tratta di prendere posto in piazza.
L’unica risposta significativa è giunta dalle comunità razzializzate che unite alle reti sui territori hanno prontamente avviato una contro-narrazione. La partecipazione collettiva nelle strade di Verona ha trasformato le parole di questo glossario in un corpo unico arrabbiato, ferito e in lutto, privato di una parte di sé. Ci mancherai per sempre, Moussa Diarra. Non si può rimanere in silenzio di fronte all’esecuzione di un giovane che aveva ancora tanto da vivere e sogni da realizzare.
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