Mentre l’Italia si dimena tra le disavventure di Gennaro Sangiuliano e il pessimismo che circonda la prossima finanziaria, mentre le paure del declino nazionale si trasformano in polemiche sulla crisi demografica e/o sulle migrazioni e non ci si mette d’accordo nemmeno sulle cifre dell’economia, lo sport è più avanti e indica al paese la strada da percorrere. In particolare ce la indicano gli atleti delle Paralimpiadi.

Avevamo appena terminato di applaudire le gesta dei nostri atleti ai Giochi olimpici – un grande successo organizzativo e di pubblico – ammirati dalle loro gesta, dalla loro forza di resistenza e capacità di sacrificio così come dai loro successi, quando inattese ci sono venute incontro le immagini stupefacenti dei loro colleghi paralimpici.

Anche nel loro caso colpiscono lo sforzo e la dedizione alle diverse discipline, forse addirittura maggiore a causa della disabilità. Ma quello che emoziona in maniera davvero più forte sono l’entusiasmo e la felicità talmente contagiose da risultare simpatici a tutti, addirittura anche ai soliti giornalisti delle interviste post gara, in genere assai musoni e indisponenti (si ricordi solo la diatriba sulle lacrime di Benedetta Pilato). Siamo stati tutti travolti dalla simpatia di Rigi – al secolo Riginav Ganeshamoorthy – che ha vinto l’oro nel disco e con un’irresistibile raffica di battute è riuscito a prendersi in giro, essere autoironico, festeggiarsi e rendere fieri tutti: italiani, romani e abitanti di Dragona.

«Quest’oro è di tutti, di tutta la nazione italiana», ha detto. Oney Tapia, atleta non vedente anche lui oro paralimpico, è divenuto virale sui social intonando davanti alle telecamere «Io vagabondo», emozionando ed emozionandosi. La lanciatrice di disco e peso Assunta Legnante, argento e oro, anche lei non vedente, ha scherzato: «Voglio andare a Los Angeles (le prossime olimpiadi) perché non ho mai visto l’America… non la vedrò nemmeno stavolta ma almeno voglio andarci».

No al vittimismo

ANSA
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Il messaggio dei nostri atleti olimpici e soprattutto paralimpici è proprio questo: non piangersi addosso, non dare la colpa agli altri, alle condizioni, al contesto, alla sfortuna, ma superarsi sempre ed essere positivi. Questo serve al paese: smetterla con il vittimismo e provare a superarsi. L’invito è rivolto a tutti e in primis ai responsabili (politici, dei poteri dello stato, economici e degli organi istituzionali di ogni tipo così come dei media ecc.). Sorridendo ci dicono: «Dovete smetterla di fare le vittime o di sentirvi vittime». Dobbiamo ascoltarli, soprattutto loro che con anni di sacrifici hanno raggiunto le vette che abbiamo visto o che hanno superato l’handicap senza lamentarsi.

Il loro entusiasmo deve diventare contagioso per tutti: di questo ha bisogno l’Italia per non ripiegarsi su sé stessa in maniera riluttante.

I sorrisi dei nostri atleti disabili ci incoraggiano e ci spronano a non essere sempre gli stessi ma a divenire italiani positivi. Non si tratta di scegliere tra pessimismo e ottimismo: si tratta di guardare alla vita e alle sue sfide in maniera positiva, sapendo che ce la possiamo fare insieme. La tristezza è un modo grigio di vivere conservando sé stessi senza mai alzare lo sguardo.

I nostri atleti sembrano essere figli di un’altra Italia: quella semplice e forte, costruita su valori dell’umanesimo secolare che non tramonta e non accusa nessuno. È il bel messaggio responsabile delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi: un dono immeritato per tutti.

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