Da una parte il cuore della storia: l’atleta, il suo coraggio, il suo talento, la sua volontà. Dall’altra quella che è solo apparentemente la periferia del racconto: il dettaglio, l’aiuto, il particolare. La formula delle Paralimpiadi è tutto questo: il risultato è un viaggio che non nasconde la disabilità, ma la affronta, ci fa i conti, la supera. Non è un caso che uno dei personaggi della copertina di questa edizione parigina sia una ragazza di 17 anni che in un colpo solo ha fatto scoprire al mondo un’altra possibilità.

Si chiama Sheetal Devi, è indiana, è nata senza le braccia, ma tutto questo non le ha impedito non solo di gareggiare, ma di farlo con dei risultati che non hanno nulla da invidiare a quelli dei cosiddetti “normodotati”.

La parola chiave, come spesso succede nello sport, è stata emulazione. Sheetal ha visto lo statunitense Matt Stutzman ed è riuscita a fare come lui. Prima di tutto con un piede al posto della mano, poi grazie a delle fasce che tengono lo sgancio per la freccia sulla spalla, freccia che parte grazie a una levetta che tocca la bocca o il mento in sintonia appunto con la spalla.

I filmati che illustrano questa dinamica sono diventati virali sul web, ancora di più nei giorni parigini con i follower della ragazza indiana, di bronzo nella prova a squadre, schizzati oltre quota 330mila. Non c’è soltanto la curiosità per un gesto di un’abilità unica, ma anche l’idea che pure con una grave disabilità, come l’assenza degli arti superiori, si possa gareggiare ad alto livello con delle prestazioni super.

Il tiro con l’arco è uno degli sport paralimpici per eccellenza. Agli albori della storia, fu fra le attività dei primissimi e pionieristici Giochi inventati dal professor Guttman. L’atleta più celebre prima dell’era moderna fu proprio Abebe Bikila, il maratoneta che dopo l’incidente automobilistico cominciò un’attività agonistica proprio con l’arco in carrozzina. Inoltre in questa disciplina si è realizzato già da decenni un percorso di integrazione sviluppatissimo: diversi specialisti hanno partecipato sia alle Olimpiadi sia alle Paralimpiadi, come accadde per prima in Italia a Paola Fantato nel 1996.

Anche Elisabetta Mijno, che ha vinto ieri l'oro con Stefano Travasani nell’arco ricurvo misto, fa la spola fra i due mondi – olimpico e paralimpico – e proprio nel fine settimana difenderà il suo titolo italiano assoluto. Quanto all’India, il primo paese al mondo per numero di abitanti, sta vivendo un processo di decollo sportivo interessante. E se in ambito olimpico, fa ancora una certa fatica, a Parigi, nell’ambito paralimpico ha già vinto 25 medaglie, di cui ben cinque d’oro, regalando alla copertina dei Giochi un’atleta simbolo come Sheetal.

Chi dà un’occhiata alle gare in questi giorni si renderà conto, che ci sono dei piccoli grandi ausili necessari per proteggere in qualche modo la performance. Un altro palcoscenico che ce lo dimostra è la piscina del nuoto: qui gli atleti non vedenti sono avvertiti della vicinanza della fine della vasca grazie a dei “tapper”. Bastoni che finiscono con una sfera o una spugna per colpire leggermente i nuotatori sulla testa e segnalare loro che il momento della virata è arrivato. La cosa sembrerà di poco conto, ma è invece un passaggio delicatissimo in cui bisogna ridurre al massimo ogni perdita di tempo prezioso nell’economia della gara.

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Il discorso si sposta poi sulla pista di atletica. Qui, sempre per i non vedenti c’è l’obbligo di indossare la mascherina. Ma da qualche anno esiste un altro vincolo, quello di aggiungerci sotto delle bende oculari che annullano una possibile percezione della luce o delle ombre. La mascherina può essere utilizzata e personalizzata artisticamente come fanno per esempio le azzurre dell'atletica Assunta Legnante e Arjola Dedaj.

Nella gare di corsa nella stessa classe di disabilità c’è un altro protagonista fondamentale per evitare sfide impari: il cordino. Prima delle Olimpiadi di Rio, c’erano stati alcuni episodi che avevano portato a diverse squalifiche con “tiraggi” e “spinte” delle guide giudicate non regolamentari. E’ subentrata dunque una regolamentazione, che definisce i criteri standard dei cordini, più corti per le gare in pista e più lunghi per quelle su strada.

Obblighi che cadono, però, nella categoria degli ipovedenti (la categoria degli atleti con riduzione della vista, non con totale assenza), dove d’altronde l’utilizzo della guida è facoltativo.

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Ci sono poi i guanti, anzi i “guantini”, questo dice il gergo dell’ambiente, per la corsa in carrozzina. Per spingere sul mancorrente della ruota si utilizzano di gomma: e qui l’aiuto della tecnologia negli ultimi anni è stato evidente, con materiali super rispondenti a livello di energia ed elasticità per garantire la traduzione del massimo della forza impressa dall’atleta.

A occhio nudo il “guantino” sembra una semplice una protezione dell’impugnatura. Gli addetti ai lavori lo considerano invece un pezzo importante del puzzle che compone la prestazione. Ed è capitato pure nel tempo di vedere degli atleti che riadattavano dei guantoni di boxe. Un caso a parte riguarda le partenze, una delle fasi che possono risultare più ostiche per gli atleti in certe classi di disabilità.

Qui a dare una mano sono cubi o cilindri o delle tavole, di diversi materiali, che vengono utilizzati per aiutare lo scatto, permettendo per esempio a un atleta amputato di braccio di poter effettuare una partenza a quattro appoggi.

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Naturalmente questo tipo di ausili moltiplica la sua importanza nel momento in cui può aiutare non soltanto un atleta di alto livello, ma anche una persona che magari comincia a scoprire la possibilità di un’attività paralimpica. Il discorso funziona ovviamente per le protesi, una ricerca che in Italia è a uno stato particolarmente avanzato e può vantare dei poli di eccellenza come il centro Inail di Budrio (dove proprio Travasani, il nostro arciere paralimpico d'oro, ha effettuato il recupero dopo l'incidente in mountain bike).

Se l'ausilio sportivo di alto livello ha ovviamente delle caratteristiche particolari, è ovvio che costituisce un esempio fino a qualche anno fa inimmaginabile di recupero di alcune funzione motorie di una persona con disabilità. Insomma, le Paralimpiadi sono ancora una volta un segnale per tutti che può essere riassunto con un invito sempre più diffuso. Le medaglie sono un veicolo per strillarlo: uscite di casa e provateci pure voi.

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