Il papa segue la tradizione della chiesa cattolica e dei suoi predecessori dell’ultimo secolo. Puntare alla negoziazione non significa cedere alla resa, anche se può comunque avere un costo per gli ucraini
Le parole di papa Francesco hanno provocato reazioni a non finire. Non diversamente andò per la nota di Benedetto XV che nel 1917 fece un appello per la cessazione delle ostilità e definì la grande guerra “inutile strage”.
Anche all’epoca le reazioni furono negative e i giornali francesi lo definirono “le pape boche” (il papa crucco) o “Pilato XV”. Ma i papi non si schierano, né chiamano alla resa di una parte rispetto all’altra: chiedono sempre e soltanto la cessazione delle ostilità e che si torni a parlare.
Il coraggio di negoziare
Il gesto di coraggio che Francesco domanda agli ucraini è di iniziare a parlare finché si è in tempo, senza porre condizioni. Ciò ha un costo, soprattutto per gli ucraini, ma la pace vale di più.
Per il papa pace non fa rima con vittoria: la guerra è inutile e la pace non dipende solo dall’avversario, anche se è l’aggressore. Lungo il XX° secolo è cresciuta nel papato di Roma l’avversità teologica e pastorale per la guerra al punto da dichiarare che non esiste “guerra giusta”.
Scandalizzarsi delle parole di Francesco significa non conoscere la storia della visione del papato romano sulla guerra: ogni conflitto è considerato sempre una guerra civile e per ciò stesso una situazione impossibile per la chiesa.
Il papa chiede il coraggio di negoziare e ciò suona scandaloso, controcorrente alla mentalità dominante tutta basata su guerra ad oltranza rivolta ad un’illusoria vittoria. In tale corsa feroce che dissangua i popoli, la differenza tra aggressore e aggredito stinge dietro la cortina di fumo della retorica guerriera.
Nel gorgo
La Russia, che ha la responsabilità primaria del conflitto, sta attirando l’occidente in un gorgo infinito di risentimento e odio. Chi parla per i morti, per le vittime civili, per chi morirà molto presto?
Se lo chiede Domenico Quirico sostenendo che “era ora che qualcuno prendesse la parola per i morti, quelli già spazzati via e quelli che verranno”. Non si tratta di utopia pacifista: il papa sente il rischio reale che si avvicini il punto di rottura della difesa ucraina. Meglio negoziare finché si è in tempo.
Significa resa? No: significa prudente e lucido calcolo prima di perdere tutto. Quale leader occidentale ha ammesso i propri sbagli quando ha consigliato agli ucraini di non negoziare? Ipocrita dire ora che sono loro a dover decidere…
O quale dirigente ha riconosciuto di aver fallito preannunciando una rapida vittoria? È forse venuta l’ora di dire la verità e di uscire dall’equivoco: la vittoria non è l’unica soluzione per ottenere la pace, ci sono possibilità intermedie. Il pericolo è tutto per gli ucraini che si stanno dissanguando senza che si veda la fine di tale massacro.
La Russia ha tempo e risorse (umane e materiali) in abbondanza: ha riconvertito la propria economia e si è adattata. Occorre poi che qualcuno parli anche per i russi: non per Putin o per i suoi oligarchi ma per il popolo russo, i cui figli vanno a morire senza spiegazioni.
Una guerra assurda
Il papa parla anche per i russi senza diritto di parola, sottoposti al giogo della retorica patriottarda e dell’autoritarismo. Parla per quelle madri e quelle donne russe coraggiose che vanno a mettere un fiore sulla tomba di Navalny rischiando il carcere.
Papa Francesco si sgola da due anni contro questa guerra assurda a protezione dell’Ucraina. Ora usa parole ancora più forti per risvegliare le nostre coscienze. Qualcuno sospetta che sia anti-occidentale o anti-americano.
Si tratta di una lettura superficiale e sbagliata ma c’è un aspetto da tener presente: il papa non si fida dei potenti che incitano alla guerra e poi abbandonano chi combatte al proprio destino. E’ la storia dell’Afghanistan ma anche di tanti altri paesi.
Lo sappiamo bene noi occidentali: chi ha chiesto scusa per le menzogne della guerra in Iraq? O per ciò che è accaduto a Kabul? Non si è risusciti a chiudere nemmeno la questione della Bosnia e del Kosovo, per non parlare dell’Armenia cristiana abbandonata perché nessuno osa dire nulla a Baku.
Spezzare un tabù
Ciò significa forse che il papa preferisce il regime della Russia di Putin? No di certo ma a quel regime non si può chiedere nessuna verità mentre alle democrazie sì che si può. La conclusione è forse che tutte le colpe sono degli occidentali? No davvero, ma è il proprio delle democrazie interrogarsi e parlare senza infingimenti. Il papa scuote la coscienza dell’occidente.
Come scrive Andrea Riccardi: “il discorso della bandiera bianca ha rotto un po’ il linguaggio stanco e conformista degli ultimi tempi”. Il papa teme che gli ucraini siano prima o poi abbandonati e sappiamo di quanto è capace l’egoismo occidentale.
Troppe sono state le delusioni per credere alla retorica della vittoria rapida e della guerra giusta. Con le parole ruvide della profezia, il papa ha spezzato un tabù: quello dell’ossequio conformista alla retorica bellica.
È il suo modo di resistere al fondo pagano dell’uomo che sorge nuovamente dalle profondità della storia e pretende sacrifici umani. Basta riascoltare i testimoni delle nostre guerre del passato per rammentarlo: è la coscienza del “never again!”. Che nessuno si stupisca allora se il papa si oppone: meglio la bandiera bianca che quella intrisa del sangue degli innocenti.
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