Senza un’attenta revisione dei sistemi fiscali europei gli obiettivi sulla competitività sono irrealizzabili
Il rapporto di Mario Draghi presentato a Bruxelles il 9 settembre rappresenta certamente un documento di straordinaria importanza per il futuro dell’economia dell’Ue, che dovrà essere sempre più competitiva nei confronti di Stati Uniti e Cina per mantenere un sufficiente livello di benessere per i suoi cittadini. In questa analisi estremamente dettagliata manca, però, un capitolo sul fisco.
A pagina 242 si dice che la frammentazione dei mercati consumer e business dell’Ue, aggravata da differenti norme di carattere fiscale e legale, limita la capacità delle imprese europee di aumentare la loro efficienza e di raggiungere una dimensione necessaria per accedere ai fondi di venture capital. A pagina 244 si afferma nuovamente che le aziende sono vittime di diversi sistemi regolatori in campo fiscale e legale, oltre che delle barriere burocratiche.
Si tratta di modeste e insufficienti considerazioni su un problema di enorme importanza che, se rimane irrisolto, impedirà alle imprese europee di consolidarsi, quindi di raggiungere una massa critica sufficiente per essere competitive nel mercato mondiale, che è il principale obiettivo del rapporto Draghi. La situazione in essere mostra sistemi fiscali diversi tra i paesi dell’Unione europea che finiscono per alimentare una odiosa concorrenza. È forse la politica che maggiormente alimenta un feroce sovranismo, impedendo quindi la realizzazione di un sistema fiscale che ponga le aziende su un piano di parità.
Le distorsioni dei sistemi fiscali
Facciamo un piccolo esempio: una società registrata in Olanda pagherà un’imposta del 20 per cento fino a 200.000 euro di profitti e il 24 per cento oltre tale importo. Ma se la società olandese trasferisce i suoi profitti nelle Antille Olandesi non pagherà imposte in Olanda, ma solo nelle Antille, il 22 per cento sul 5 per cento dei profitti e il 3,19 per cento sul rimanente 95 per cento, quindi in totale un’imposta del 4,1 per cento.
Oltre al paradiso fiscale dell’Olanda si devono ricordare anche quello del Lussemburgo e quello dell’Irlanda, una situazione incompatibile con gli intenti dei padri fondatori dell’Europa.
Un’impresa italiana paga sui suoi profitti il 24 per cento, a cui si aggiunge l’Irap pari al 4 per cento, quindi un’imposta totale del 28 per cento. Questo perverso meccanismo avviene perché i rapporti tra stati in materia fiscale sono regolati da accordi bilaterali contro la doppia imposizione che permettono, ad esempio, all’impresa che opera in Italia, ma registrata in Olanda, di non pagare le imposte in Italia, ma trasferire gli utili in Olanda dove pagherà imposte minori. Lo stesso sistema vale anche per Lussemburgo e Irlanda.
Mercato disunito d’Europa
Proprio l’eterogeneità delle norme tra i diversi paesi è, in parte, un ostacolo al consolidamento delle imprese. Infatti può succedere che gli azionisti di una società irlandese impediscano l’acquisizione della loro azienda da parte di una società italiana perché in seguito i loro dividendi sarebbero tassati in misura maggiore che in Irlanda. E senza fusioni e acquisizioni non si raggiunge la massa critica necessaria nei diversi settori. Per quanto riguarda le multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro, vige ora la Global Minimum Tax del 15 per cento, entrata in vigore in Italia e in molti paesi europei nel gennaio 2023.
Questa evidente confusione fiscale non può che ostacolare il processo che deve portare le imprese dell’Ue a essere competitive soprattutto rispetto a Cina e Stati Uniti.
È noto che il tema fiscale è estremamente delicato e che pochi osano criticarlo anche perché, oltre ai paradisi fiscali citati, vi sono quelli di territori come il Principato di Monaco, di Andorra e di San Marino, in vario modo legati, rispettivamente, a Francia, Spagna e Italia.
Tuttavia, ignorare il problema fiscale in tutti gli aspetti riportati rappresenta una grave lacuna del rapporto Draghi perché è condicio sine qua non per realizzare il progetto del rapporto. Dobbiamo invece riconoscere a Enrico Letta di aver posto questo problema nel suo rapporto Molto più di un Mercato, presentato il 17 aprile scorso al Consiglio d’Europa, dove, a pagina 111, dice chiaramente che occorre eliminare la competizione fiscale tra i paesi Ue.
Purtroppo, come ha scritto Roberto Romano su queste colonne, il rapporto Draghi è un catalogo di buone intenzioni che richiede comunque ulteriori studi di fattibilità. Come il problema fiscale.
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