Dal 1970 la Commissione europea ha sempre avuto un commissario dedicato al tema “Occupazione e affari sociali”, poi modificato (ma mantenendo la medesima ratio) dal 2019 in “Lavoro e diritti sociali”. La nuova composizione introduce una modifica che, almeno dal punto di vista formale, rende la delega molto diversa dal passato. Quale visione si nasconde dietro al cambio di nome del portfolio lavoro della nuova Commissione europea
Un piccolo dettaglio a volte nasconde dietro di sé qualcosa di più grande. Non sappiamo ancora se è questo il caso del cambio di nome al portfolio affidato a Roxana Mînzatu nella nuova Commissione von der Leyen, ma la cosa appare fin da ora interessante.
Come ha fatto notare polemicamente ieri la Confederazione europea dei sindacati, dal 1970 la Commissione europea ha sempre avuto un commissario dedicato al tema “Occupazione e affari sociali”, poi modificato (ma mantenendo la medesima ratio) dal 2019 in “Lavoro e diritti sociali”.
Ma la nuova composizione annunciata martedì introduce una modifica che, almeno dal punto di vista formale, rende la delega molto diversa dal passato. Infatti la commissaria rumena dovrà occuparsi di un inedito trittico di parole: persone, competenze e preparazione (People, Skills and Preparadness).
Scompare il riferimento al lavoro e scompare il riferimento agli affari/diritti sociali, termini che non vengono ricompresi in altre deleghe. Potrebbe sembrare una questione nominalistica, soprattutto se si legge la lettera di missione diffusa dalla presidente Ursula von der Leyen, in cui si parla largamente di diritti sociali e di dialogo sociale come obiettivi da perseguire per la nuova commissaria.
La parole contano
Ma sappiamo che le parole contano e che negli ultimi anni, si veda il caso italiano, il cambio di appellazione di ministeri o deleghe è stato utilizzato per mandare messaggi politici molto chiari. Difficile peraltro non leggere questo cambio slegato da uno dei contenuti centrali del rapporto sulla competitività presentato la scorsa settimana da Mario Draghi.
L’elemento comune sembra essere l’idea secondo la quale per garantire una crescita della produttività, mantenendo il modello di diritti sociali caratteristico dell’Europa (e non spostarsi maggiormente verso un modello americano), è necessario principalmente investire sul capitale umano e sulle competenze delle persone.
In una Europa che dovrà sempre più contare su sé stessa alla luce del processo di deglobalizzazione in corso, la scelta è quindi quella di investire sulle competenze che potranno garantirle questa maggior autosufficienza. Da qui il riferimento a “persone” e “competenze” nel nuovo portfolio e non direttamente al tema del lavoro, un accento che vuole significare che l’urgenza è quella della qualità del capitale umano più che della crescita dell’occupazione in sé.
In questo senso parlare di “preparazione” significa adottare un approccio tipico di chi vede il rischio e l’imprevedibilità come elemento chiave della modernità, e quindi occorre essere pronti ad adattabili alla mutevolezza del contesto economico in cui ci troviamo.
La competenza
La conseguenza è che, almeno nel titolo, i diritti sociali non sono più nominati nella loro onnicomprensività, ma si concentrano su un solo elemento, quello della competenza che diventa così il vero diritto delle persone e dei lavoratori, ciò che consente loro (ma anche all’Europa) di navigare il burrascoso mare in cui ci troviamo.
Ma è chiaro che, nel variegato contesto europeo, dal punto di vista del lavoro e dei diritti sociali le urgenze sono anche molte altre e che il tema delle competenze non può essere letto in modo slegato da tante condizioni d’accesso alla conoscenza, ad esempio, che spesso mancano.
Così come il rischio è quello di dipingere uno scenario in cui il mercato del lavoro è unicamente alla ricerca di persone molto qualificate o in cui le imprese sono pronte a fare salti di qualità in termini di innovazione di processo e di prodotto che richiedono maggiori competenze.
D’altra parte il riferimento alle “persone” potrebbe essere slegato dal tema del capitale umano e significare la volontà di un approccio più ampio ai diritti sociali, laddove il lavoro avrebbe un ruolo minore rispetto al passato, questo avremo modo di capirlo con il tempo.
Un problema di metodo
Il cambio di nome sembra poi tradire anche un tema di metodo, che non può che preoccupare le parti sociali europee. Infatti il riferimento esplicito al lavoro e ai diritti sociali chiama automaticamente, per ruolo, in causa i corpi intermedi, in particolare i rappresentanti dei lavoratori che è invece meno immediato invece il ruolo e il coinvolgimento a fronte di un focus così specifico sul tema delle competenze e del capitale umano.
Ma questa dovrebbe essere proprio l’occasione per il sindacato europeo e non solo di pretendere di entrare fortemente, difendendo il ruolo della contrattazione come strumento di costruzione anche di capitale umano, nel tema evitando che il cambio di nome si traduca, negativamente, in una surrettizia defenestrazione, lenta ma reale.
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