Quando un elettore centrista e moderato percepisce, com’è concretamente capitato in Liguria, che la coalizione progressista è, seppur legittimamente, formata da tre sinistre – quella di Schlein, quella di Conte e quella di Fratoianni, Bonelli e Salis – silenziosamente e semplicemente vota altrove
Le riflessioni del mio amico Gianni Cuperlo non sono mai né banali e né propagandistiche. Perché, com’è nel suo stile carico di cultura politica e di coerenza personale, quello che richiama e che evidenzia va sempre discusso e approfondito. Una regola, questa, che vale anche per la sua ultima riflessione su queste colonne dal titolo “Separare il centro dalla destra. La lezione di Berlinguer”.
Ora, senza entrare nel dettaglio dell’eredità dell’ultimo grande leader del comunismo italiano, credo che il tema del rapporto tra il centro e la sinistra – o la destra – si possa inquadrare nel ricordo della grande lezione politica e culturale del cattolicesimo democratico italiano. E, per dirla con Mino Martinazzoli, «la politica in Italia è sempre stata sinonimo di politica delle alleanze».
Ed è proprio partendo dalla centralità delle alleanze contro ogni tentazione egemonica ed esclusivistica di singoli partiti che si può approfondire la riflessione avanzata da Gianni Cuperlo.
Le elezioni liguri
Partendo anche dall’ultima esperienza ligure, sono almeno due le osservazioni che si impongono. Innanzitutto il centro esiste ed ha un ruolo e una funzione in una alleanza solo se è autonomo, visibile, protagonista e decisivo ai fini della competizione elettorale. Come, appunto, parlando delle vicende della cosiddetta Seconda repubblica, lo sono stati prima il Partito popolare italiano di Franco Marini e di Gerardo Bianco e poi la Margherita di Rutelli, Marini e Parisi.
Insomma, l’esatto contrario di chi pensa che il centro sia una sorta di accessorio o di appendice all’interno di una coalizione. Per fare un esempio storico, gli indimenticabili “partiti contadini” di antica memoria che giocano solo un ruolo formale e protocollare per confermare la natura plurale di una coalizione e nulla più. E l’ultima cosa da fare, al riguardo, è quella di mettersi a tavolino per pianificare dall’alto la presenza di un partito con un profilo centrista, moderato e riformista che sia in grado di saper intercettare un pezzo di società che non si riconosce, per ragioni storiche, politico e culturali, nel massimalismo, nel radicalismo, nel sovranismo o, peggio ancora, nel populismo demagogico e qualunquista. Operazione che, purtroppo, è nella mente di qualche illuminato del cosiddetto “campo largo”.
In secondo luogo, e anche questa è una considerazione non secondaria, il profilo politico, culturale e programmatico di una coalizione non può essere smaccatamente sbilanciato. Fuor di metafora, il centro e, come ci ricordavano sempre Guido Bodrato e Franco Marini, «la politica di centro», sono declinabili in una coalizione solo se la medesima alleanza non è egemonizzata da chicchessia. E questo per la semplice ragione che la costruzione di una alleanza di governo non può essere caratterizzata da una eccessiva carica ideologica.
Perché quando un elettore centrista e moderato percepisce, com’è concretamente capitato in Liguria, che la coalizione progressista è, seppur legittimamente, formata da tre sinistre – quella di Schlein, quella di Conte e quella di Fratoianni, Bonelli e Salis – silenziosamente e semplicemente vota altrove. E a nulla valgono, come da copione, finte liste centriste e civiche come quella di Calenda o di altri piccoli partiti personali. Il profilo politico della coalizione, quindi, non è una variabile indipendente ai fini della costruzione di un vero, autentico e credibile centro sinistra.
Dopodiché, e su questo concordo pienamente con l’amico Cuperlo, in politica il vuoto non esiste. Mai. E il centro, e nel caso specifico, la costruzione di un progetto e di un luogo politico che sappiano anche e soprattutto declinare una vera e credibile “politica di centro”, passano attraverso la definizione di un soggetto politico che sia semplicemente alternativo rispetto ai piccoli partiti personali che pensano di occupare in modo esclusivo quello spazio. Perché, per dirla con il mio “maestro” Carlo Donat-Cattin, «in politica si conta se si rappresenta un pezzo di società da un lato e se si è in grado, dall’altro, di elaborare un progetto politico in cui molti si possano riconoscere». E questa, oggi, è la vera sfida politica di chi crede nella bontà di un progetto politico centrista da collocare all’interno di una coalizione più vasta.
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