Nel 2022 il partito era uscito a pezzi dal voto, con M5s e terzo polo pronti a dividersi le sue spoglie. Dopo un anno e mezzo di segreteria Schlein, come dimostra la Liguria, la situazione è rovesciata
Pacienza, pane e tempo. Sono le tre cose che non devono mai mancare al prigioniero, si leggeva nel graffito sui muri delle carceri del Sant'Uffizio a Palermo, lo Steri, di cui scrisse Leonardo Sciascia in Morte dell'inquisitore.
A quel pezzo di elettorato (maggioritario) che si sente imprigionato, senza alternative, in un sistema politico dominato da Giorgia Meloni, possono mancare i numeri, ma non il tempo, la pacienza, e soprattutto il consenso, che per chi fa politica è il pane, l'alimento primario che segna la crescita o il deperimento di qualsiasi progetto.
Pacienza, pane e tempo non mancano al Pd di Elly Schlein che, nonostante la sconfitta in Liguria, ha conquistato due giorni fa il 28,4 per cento e 160.148 voti. Ben più di quanti ne ottenne il 31 maggio 2015, quando il Pd ottenne il 25,6 per cento e 138.257 voti, con il 50 per cento dei votanti, quattro punti in più di quest'anno.
Il risultato in voti assoluti di domenica e lunedì, per il Pd, non è troppo lontano neppure dai 183mila voti totali che ha ottenuto la candidata presidente Raffaella Paita, oggi in Italia viva. La sua sconfitta ha consegnato per la prima volta la regione a Giovanni Toti e alle destre.
Sono numeri che danno la misura dell'impresa di recupero del consenso compiuta dal Pd di Schlein, con Andrea Orlando. Eppure, nel 2015, c'era il Pd trionfante di Matteo Renzi a palazzo Chigi, un Pd iper-riformista che si vantava di lasciare i residui a sinistra.
Nessuno avvertì la gravità della sconfitta in Liguria, Renzi proseguì la sua cavalcata verso il disastro del referendum del 2016 e del dimezzamento dei voti del Pd nel 2018. Quel mese di maggio 2015 si era aperto con l'approvazione della legge elettorale Italicum e con l'uscita dal Pd di una giovane europarlamentare che in quei giorni compiva trent'anni. Si chiamava Elly Schlein.
Una crisi lontana
La crisi arriva dunque da lontano, ha radici profonde. In quelle fratture lontane. In un contesto di crisi democratica che oggi spinge l'elettore-cittadino ad allontanarsi dalle urne, com'è avvenuto il 27-28 ottobre in Liguria.
La politica è diventata il capro espiatorio del rancore. Il welfare, i servizi, la sanità pubblica, vengono giù insieme alla base della democrazia, l'idea che il voto e la partecipazione serviranno a qualcosa. E nel crollo del voto come strumento del bene comune torna a prosperare il voto come strumento di tutela dell'interesse particolare, della consorteria locale, com'era alla fine dell'Ottocento.
Aumenta il peso specifico di potentati locali, circuiti di potere, micro-notabili come Claudio Scajola a Imperia. L'industria, il marketing dell'indignazione per la politica, alimentata da poteri economici ed editoriali che della politica fanno volentieri a meno, allarga il peso di lobby e gruppi affaristici negli spazi lasciati vuoti dalla maggioranza degli aventi diritto rimasti a casa perché di fronte agli scandali non c'è più nulla da fare, meglio andare al mare, se il mutamento climatico lo permette. Perde la politica, trasformata in “oplitica”, come scrive Antonio Galetta in Pietà (Einaudi), vince il potere.
Sfida in mare aperto
In queste condizioni costruire un ricambio è difficilissimo. Ancor più l'alternativa. Eppure la situazione delle opposizioni è radicalmente cambiata rispetto a due anni fa. Nel 2022 il Pd era uscito a pezzi dalla prova elettorale, sembrava il magazzino di un discount in liquidazione, chiunque poteva entrare e portare via qualcosa.
Le sue spoglie sembravano destinate a essere spartite tra il partito guidato del nuovo fortissimo punto riferimento della sinistra, Giuseppe Conte, e il terzo polo centrista della coppia Renzi-Calenda, che si candidava anche a ereditare il consenso berlusconiano.
Dopo un anno e mezzo di segreteria di Elly Schlein la situazione è esattamente rovesciata. La segretaria del Pd aveva la missione di salvare il suo partito dall'estinzione, nella consapevolezza che senza Pd non c'è alternativa possibile alla destra.
Oggi la lista del Pd aumenta di consensi di elezione in elezione, gli altri si prosciugano, con l'eccezione dell'Alleanza Verdi Sinistra. Come dimostra il caso della Liguria, al successo della lista del Pd corrisponde l'ecatombe dei partiti che due anni fa miravano al suo patrimonio elettorale e al suo ruolo politico. Conte è ridotto a cespuglio, Calenda a un ramo del cespuglio, di Renzi non si vede neppure la radice, ha potuto vantare la rilevanza del suo contributo solo perché assente.
Così l'incognita dell'alternativa non si risolve, la destra continua a vincere, ma l'equazione cambia di segno. Dalla faticosa costruzione della coalizione ritorna alla costruzione del partito, non solo perno, ma sempre più guida dell'Italia non meloniana. Non è un approdo, ma un punto di partenza, da coltivare, evitando di essere risucchiati nelle geometrie e nelle geografie politologiche: manca il centro, mancano i liberal (sì, ma chi sono?).
Per la leader del Pd Schlein nel breve periodo, da qui alle prossime tre settimane, la strada è segnata: proseguire la campagna elettorale in due regioni importanti, l'Emilia-Romagna e l'Umbria, dove si vota. In arrivo, nei prossimi mesi, potrebbero esserci anche i referendum sull'autonomia differenziata e sulla cittadinanza. Più interessante è capire cosa succederà da qui alla fine della legislatura, sempre che arrivi nel 2027.
Schlein è rimasta impassibile tra le rivalità di alleati che faticano a salire sullo stesso palco e a farsi ritrarre nella stessa foto, ha mantenuto uno spirito unitario laddove tutti intorno facevano la corsa a distinguersi, un atteggiamento che ha pagato sul piano elettorale.
Al posto del defunto campo largo, mai esistito, ci sono ora una forza elettorale e una leader, Elly Schlein, che hanno l'ambizione di sfidare direttamente, a viso aperto, Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni per il primato elettorale.
Il primo passo per una coalizione che arriverà passa da qui, l'unico punto di solidità nella bufera, poi arriverà il resto. Per farlo è necessario aggregare associazioni, mondi vitali, personalità anche in apparenza lontane, coltivare la rinata capacità di dialogo con pezzi di società senza ascolto, organizzare un gruppo dirigente, un progetto, una visione culturale. È quello che chiede l'Italia (maggioritaria) che non vuole restare prigioniera della destra meloniana e salviniana. Che ha pane, tempo e pacienza, ma non infinita.
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