Lo si è subito definito emendamento anti-Renzi ed effettivamente ne ha tutte le sembianze. Trattasi di un emendamento sbucato d’improvviso nella legge di bilancio.

Dal punto di vista di una buona prassi legislativa effettivamente se ne può discutere. Non è il modo, non è la sede più appropriata quella della legge più importante che dovrebbe tracciare il quadro economico-finanziario dello Stato, le sue grandi poste da inscrivere in una visione del paese.

Tuttavia, va detto, circa il merito, è norma sacrosanta, che fissa un principio etico-politico elementare a presidio della dignità e dell’onorabilità di chi incarna le istituzioni. In osservanza del noto articolo 54 della Costituzione. L’emendamento stabilisce il divieto di incarichi retribuiti da parte di soggetti aventi sede legale fuori dalla Ue per membri del governo, parlamentari, europarlamentari e presidenti di regione.

Semmai, a ben vedere, il perimetro dovrebbe essere più esteso e stringente. Non si capisce perché il divieto non si applichi anche dentro la Ue; e la nozione di “incarichi” si presta a deroghe ed eccezioni. Chi, ben retribuito dagli italiani, dovrebbe svolgere il proprio alto servizio nelle istituzioni repubblicane con trasparenza e con libertà, non può figurare a libro paga di soggetti esteri.

Principio elementare

Una regola di costume basica e minimale che non avrebbe neppure bisogno di essere argomentata tanto risulta evidente. Fare il ministro o il parlamentare non è una prescrizione del dottore. Eppure, incredibilmente, c’è chi si ostina a non dare per sentito.

Ancor più sconcertante la reazione del partito (?) Italia Viva che ha bollato l’emendamento come dal sapore sovietico e/o sudamericano invocando (autolesionisticamente) a sostegno delle proprie riserve il parere contrario del presidente del Senato, Ignazio La Russa e facendo appello alla presunta cultura liberale di Forza Italia. Scomodando culture politiche e vertici istituzionali per una personale vertenza dal contenuto venale. Senza rendersi conto di un proprio, triplo autogol. Ecco perché.

Triplo autogol

Primo, se Italia Viva fosse un partito, cioè un collettivo, e non la cerchia amicale di Renzi, anche solo per interesse politico-elettorale, i suoi sodali dovrebbero essere i più motivati e solleciti nel pretendere che egli recida rapporti economici tanto imbarazzanti che palesemente procurano loro discredito.

Secondo, chiamare in causa La Russa è, a dir poco, una gaffe, essendo noto (Calenda, non smentito, dixit) che i voti renziani furono decisivi per la sua inopinata elezione alla presidenza del Senato.

Vena liberale?

Infine, fa sorridere anche l’appello alla improbabile vena liberale di Fi nelle stesse ore in cui Pier Silvio Berlusconi rassicura (sic) che «Forza Italia non la cediamo …nessuno si è fatto vivo per rilevare quote». Anche perché il conflitto di interessi è tuttora corposamente incombente, dal canone Rai alla tassa (in realtà un prestito) sugli extraprofitti delle banche.

Personalmente penso che faccia bene Elly Schlein, in coerenza con il suo noto motto di “testardamente unitaria”, a non porre veti pregiudiziali verso nessuno; che debbano essere la politica e i programmi a fissare la discriminante tra chi aderisce e chi no al fronte dell’alternativa. Vi sono, però, come accennato, anche principi e regole che attengono alla dignità delle istituzioni e che devono qualificare l’alternativa.

Renzi reagisce (pro domo sua) accusando la maggioranza di avere concepito una norma-vendetta per la sua recente riconversione a sinistra. Gli sfugge semmai che proprio gli elettori di sinistra sono i più esigenti sul piano del costume etico-politico.

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