Il capitolo che si occupa dell’Italia nel rapporto sullo Stato di diritto nei paesi europei stilato dalla Commissione Ue – con riferimenti critici al premierato, alla libertà di stampa, alla Rai e, in particolare, alle misure sulla giustizia in cantiere che, cito, possono «minare la lotta alla corruzione» – non fanno che avvalorare un allarme già suscitato da molte, troppe indagini.

Pur limitandoci agli ultimi mesi, francamente l’elenco fa impressione: Piemonte, Puglia, Liguria, Olimpiadi Milano-Cortina, Venezia. E forse dimentico qualcosa. Alludo evidentemente alle notizie relative a casi di malaffare che hanno riguardato politici, amministratori, pubblici funzionari, imprenditori. Un tempo si parlava impropriamente di questione morale. Diciamo meglio: trattasi di questioni che attengono alla violazione della legalità o anche solo dei canoni dell’etica pubblica.

A fronte di una casistica così sovrabbondante, il pensiero corre alla risposta che è venuta e che viene dai piani alti della politica e, segnatamente, dal governo: cancellazione dell’abuso d’ufficio, maglie più larghe sul traffico di influenze, stretta sulle intercettazioni, legge bavaglio, facilitazione degli appalti a cascata, condoni e sanatorie, innalzamento dei limiti all’uso del contante. Di nuovo: forse dimentico qualcosa.

Misure diverse accompagnate da messaggi neppure tanto subliminali (il «pizzo di stato», il celebrato rientro di Chico Forti, la intitolazione di Malpensa a Silvio Berlusconi) che tuttavia vanno in una medesima direzione: il depotenziamento della cultura e dei presidi di legalità. Ma non per tutti.

Panpenalismo

Penso, per converso, alla vistosa tendenza, da parte del governo, al cosiddetto panpenalismo ovvero alla fervida fantasia nell’ideazione di nuove fattispecie di reato. Il risultato: una giustizia di classe. Implacabile e dalla faccia feroce con i poveri cristi; lassa e indulgente con i colletti bianchi.

Come non bastasse, si sono contestualmente moltiplicati messaggi non esattamente amichevoli indirizzati a chi, per funzione, ha il compito di contrastare l’illegalità, ovvero la magistratura. Penso alla separazione delle carriere, ai due Csm, alla Alta Corte per la disciplina dei magistrati che si intende portare fuori dall’organo di autogoverno. Complice un ministro che sembra si sia assegnato la missione di fare la guerra ai suoi ex colleghi.

Si può discutere a proposito delle singole misure, ma è innegabile l’impressione di un complessivo, stridente contrasto tra il nuovo (?) dilagare dell’illegalità e del malcostume e l’abbassamento della soglia della vigilanza e del contrasto ad essi. Che lettura darne?

Tre dimenticanze

Non credo basti evocare genericamente lo storico difetto nostrano di senso dello stato. Nato tardi e dai tratti elitari. Sospetto anche una responsabilità in capo alle culture politiche e alla smemoratezza dei loro referenti: una destra due volte dimentica della propria sensibilità legalitaria (legge e ordine) e sociale (che dovrebbe immunizzarla da una giustizia di classe) forse a motivo della sua contaminazione con il germe del berlusconismo, con la sua refrattarietà alle regole e i suoi doppi standard, per i quali la legge non è uguale per tutti; un centro sedicente liberale dimentico del tratto severo della cultura e della concezione della libertà (l’opposto della licenza) cara ai suoi padri; un settore della sinistra cosiddetta liberale talvolta incline fare da sponda alla destra in nome di un malinteso garantismo a sua volta dimentico delle sue origini ovvero concepito e praticato a difesa dei deboli contro la prevaricazione dei forti, compreso chi abusa dei pubblici poteri. Non come avallo a privilegi castali.

Tre diverse dimenticanze che convergono a produrre un medesimo risultato: un vistoso deficit di legalità, di etica pubblica e di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge tutt’altro che privo di effetti sulla qualità della vita civile, economica e sociale.

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