Il “deal” del presidente Usa non ha nulla a che vedere coi compromessi. Si tratta semmai di una trattativa d’affari nella quale vince chi sa bluffare meglio ed è capace di trovare il punto debole dell’altro
Si sono lette interpretazioni fantasiose dello stile sfoderato da Donald Trump alla Casa Bianca nel suo incontro con Volodymyr Zelensky. Per esempio, che Trump è sincero e non dice se non quel che pensa, il che non è necessariamente un fatto negativo: lui impone la pace, e questa è buona cosa, comunque. Trump sincero affarista pacifista.
La fantasia non ha limiti. Trump usa spessissimo la parola “deal” – affare, trattativa d’affari. La usa per parlare di pace perché a lui della pace interessa poco. A lui interessa fare affari e qualche volta, come pensavano gli ottimisti del Settecento, il commercio porta la pace. Ma vediamo, e non da oggi, che il commercio genera anche la guerra e cresce con la guerra, perfino nei paesi deve c’è la guerra.
A Trump interessano le terre rare di cui sono ricche l’Ucraina e la Russia. È questo il “deal” a risarcimento degli aiuti fin qui dati dagli States all’Ucraina. Ora, come si fa a piegare un interlocutore riottoso ad accettare uno scambio che scambio, per lui, non è?
Zelensky ha calcolato che servirebbero 250 anni a risarcire gli Usa per i cento e rotti miliardi di dollari in armi (tra l’altro in quantità minore di quel che ha dato l’Europa, Gran Bretagna inclusa). Ha calcolato che il bene naturale che il suo paese possiede non sarà più suo. Quindi all’Ucraina quel “deal” non sembra proprio conveniente, oltretutto perché non implica alcuna concessione relativamente alle terre conquistate dalla Russia.
E veniamo così alla sincerità di Trump nell’incontro allo studio ovale. Un incontro davanti alle televisioni, come un reality show di cui Trump è maestro. Quindi non una trattativa diplomatica, ma un preliminare necessario per piegare il resistente interlocutore.
Lo ha umiliato, lo ha fatto sentire straniero, ha compreso bene la sua difficoltà linguistica e l’ha sfruttata con bella sincerità; lo ha offeso per la divisa militare che indossa. Che bella sincerità, quella che porta l’interlocutore riottoso nella propria tana, lo umilia e pretende ringraziamenti e scuse, che non ha pazienza ad ascoltare quel che ha da dire e va al sodo: «I have to make a deal but you make my work difficult».
Quel che voleva Trump era proprio quel che ha ottenuto: convincere Zelensky che deve accettare quel che Trump vuole. O prendere o lasciare. Certo, le diplomazie dietro le quinte continuano a lavorare, hanno assicurato i funzionari della Casa Bianca. Ma il mondo vede altro. Il mondo vede la forza e ne ha ammirazione.
Trump ripete da sempre che la colpa della guerra ricade sull’Ucraina, poiché non ci si mette in guerra con uno più forte. La colpa è dei deboli che si mettono in testa di resistere ai forti e causano la guerra. Questo è il pacifismo del palazzinaro di New York, che come ha ben raccontato Robert De Niro, ha sventrato New York, generato corruzione, evaso il fisco, messo sul lastrico coloro che resistevano alle sue offerte. In questo modo ha creato il Trump District, un osceno insieme di grattacieli vuoti, troppo cari per la classe media e troppo vili per i super-ricchi. Quel cemento è il segno di quel che è il “deal”.
Si potrebbe essere tentati a confondere il “deal” con il compromesso. L’errore è di quelli che richiedono la matita rossa. Il deal è una trattativa d’affari che ha due attori ciascuno dei quali vuole il massimo. E vince chi sa bluffare meglio ed è capace di trovare il punto debole dell’altro. Bluffare è l’opposto di trasparenza e sincerità. Quindi Trump ha trattato con Zelensky proprio come usa trattare con i concorrenti ai quali vuole prendere qualcosa a cui lui tiene.
E fa di tutto per vincere, poiché la forza non usa solo le armi. E che dire dell’umiliazione per l’abbigliamento? Ricorda la logica di quel giudice che accusò la donna stuprata di avere provocato il suo stupratore perché portava la minigonna. I deboli devono essere e proporsi come deboli. E che dire dell’umiliazione per un inglese non buono.
L’esercito americano che conquistava le terre a ovest giustificava i massacri degli indigeni adducendo la scusa che i loro capi avessero violato i patti sottoscritti, firmando senza capire. La colpa non è dell’occupante forte, ma del resistente debole.
© Riproduzione riservata