A detta degli esegeti trumpiani il modello del “rebooting” dell’amministrazione americana sarebbe il divo Augusto, che dovrebbe curare il paese dai «virus liberal». Certo, si tratta di un minestrone fanta-storico, ma l’idea è di preservare il governo ultraconservatore per decenni a venire
La transizione dell’amministrazione Usa verso una leadership imperiale va studiata con attenzione. “Presidenza imperiale” è una categoria analitica usata da storici e costituzionalisti americani per definire le fasi della politica statunitense nei suoi 240 anni di vita (nel 2027 Donald Trump guiderà le grandi celebrazioni).
Fino ad ora, la presidenza imperiale ha coinciso con quei momenti nei quali il paese ha avuto un ruolo-guida internazionale. Soprattutto da Woodrow Wilson, nel cui secondo mandato (1917-21) si verificò una importante frattura tra quella presidenza imperiale (progetto di una Società delle Nazioni) e il Senato. Altrettanto ostile fu la reazione verso l’impegno statunitense in Europa nella Seconda guerra. Non è questo il senso della “presidenza imperiale” Trump.
Le parole di Vance
Il termine imperiale si riferisce ora al ruolo dell’esecutivo nella politica interna. Indicativo a tal proposito, quel che ha detto JD Vance nella conferenza di Monaco sulla libertà di dire quel che la denazificazione aveva proibito di dire: questa è un’applicazione fuori confine di quel che avviene nel paese. A Vance come a Trump, dell’Europa (la sua storia, le ragioni delle sue carneficine, la sua rinascita democratica) non importa proprio nulla. Vance ha detto senza peli sulla lingua che quel che Washington stabilisce essere giusto deve essere giusto per chi decide di stare dalla sua parte.
Alleanza significa fedeltà alla presidenza non alla democrazia – la forma di governo non ha importanza come in passato. È in questo senso che va intesa oggi la “presidenza imperiale”.
Partire dunque da dentro. Conoscere il Progetto 2025, in fase di attuazione dal 20 gennaio scorso. Attenzione: non per la demolizione dello Stato, ma la sua riprogrammazione, per mantenere il governo ultraconservatore per i decenni a venire.
Le caratteristiche di questo regime sono: una burocrazia politicizzata; l'immunità dal controllo (delle Corti e del Congresso); l'uso abusivo delle agenzie governative come mezzo di rappresaglia politica, e per attuare programmi federali a immagine del nazionalismo cristiano, della supremazia bianca e della disuguaglianza economica.
Si va alle origini della Repubblica, con i bianchi protestanti che hanno guidato la Guerra di Indipendenza e scritto la Costituzione. Per demolire quel che hanno fatto i governi liberal, solo la fedeltà indiscussa al presidente può funzionare; un presidente che deve avere una sua guardia pretoriana e prerogative oltre i controlli costituzionali (il teorico da tener in conto è Adrian Vermeule, un costituzionalista di Harvard convertito al cattolicesimo).
Il “rebooting” degli Usa
Per attuare questo progetto si stanno riformulando gli allegati di assunzione dei dipendenti pubblici, con l’abolizione del processo competitivo di assunzione; entra chi promette di seguire le direttive. Come scrive James Goodwin su Boston Review, lo scopo di questa faziosità istituzionale è liberare l’azione governativa dai lacci di controllo. Vance ha tuonato che i giudici non possono limitare le decisioni dell’esecutivo. La bestia nera di questo rebooting dell’amministrazione è la cultura liberal (identificata col marxismo) e quindi le presidenze ispirate al New Deal.
In breve: il liberismo di Milton Freedman insieme al tradizionalismo. Ecco dunque l’attacco alle università, messe a pane e acqua se adottano programmi di diversità, equità, inclusione e giustizia (DEIJ). E pensare che Vance ha goduto di quei programmi per arrivare alla Law School di Yale!
Restituire sacralità ai valori fondativi, proteggere la Repubblica: ecco il fine della “presidenza imperiale”, giustificata ad esercitare un potere d’eccezione. Un “intellettuale” seguito dai “Californian experimenters”, Curtis Yarvin, un 51enne ingegnere elettronico, ha dichiarato al New York Times che Augusto imperatore è il modello. Straordinario esempio di minestrone fanta-storico ricavato da Internet, Yarvin dichiara il valore della monarchia plebea e il disgusto per l’aristocrazia democratica.
Il nuovo “Augusto” deve curare la società dal virus liberal, riportare il “bene comune” sulla retta via: ovvero i valori americani incarnati dai bianchi protestanti, con l’ausilio di una nuova arma potenti, l’intelligenza artificiale.
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