La Repubblica di Moldavia è un piccolo paese di poco più di 2 milioni e mezzo di abitanti. Tuttavia, il suo futuro politico, insieme a quello di Ucraina e Georgia, è destinato ad avere un impatto significativo non soltanto nella regione, ma anche sulla futura architettura di sicurezza europea e sulle relazioni tra Unione europea e Russia.

È per questo che le elezioni per il rinnovo del suo presidente e il referendum sull’adesione all’Unione europea hanno attirato così tanta attenzione sia da parte russa che da parte europea. Ed è anche il motivo per cui i risultati, che restituiscono l’immagine di un paese spaccato in due, devono essere letti con una certa preoccupazione.

La Russia ha sempre considerato la Moldavia, così come le altre nazioni ex sovietiche della regione, il suo “cortile di casa”. Truppe russe sono state ininterrottamente presenti sul territorio della regione separatista della Transnistria. Negli ultimi anni, soprattutto in reazione alle crescenti spinte moldave all’autonomia e all’avvicinamento all’Unione europea, la Russia ha investito massicciamente nel paese, in particolare attraverso una capillare opera di disinformazione e influenza.

Da parte sua, l’Unione ha risposto alle richieste moldave adottando la decisione storica di aprire le porte a Chisinau e avviare i negoziati per la sua futura adesione. Nel contesto di insicurezza causato dall’aggressione di Mosca all’Ucraina, la prospettiva di tenere Moldavia e Georgia (altro paese in bilico e con elezioni alle porte) agganciate all’Unione rappresenta un tassello importante della strategia europea di stabilizzazione regionale e di contrapposizione all’imperialismo russo.

I risultati di domenica consegnano due lezioni importanti per l’Unione europea. La prima riguarda il futuro del processo di allargamento, che dovrebbe coinvolgere Paesi dalle democrazie giovani o fragili dalla Moldavia alla Georgia alla Serbia. La scelta politica di procedere a una nuova fase di allargamento è stata corretta e pagante, sia per assecondare l’aspirazione democratica di paesi che guardano all’Europa come una prospettiva credibile di libertà e di sviluppo sia per contrastare le mire espansionistiche russe ai confini europei.

Allo stesso tempo, però, portare a compimento un percorso di adesione efficace e sostenibile implica accompagnare questi paesi in un complicato cammino di riforma con investimenti anche politici e non solo finanziari. E impone anche all’Ue di realizzare internamente quei cambiamenti necessari a permettere il futuro funzionamento e la resilienza del progetto europeo.

In poche parole, non possiamo rischiare di ritrovarci con problemi simili a quelli che stiamo sperimentando con l’Ungheria di Orbán ma moltiplicati per tre o quattro o più: il destino europeo sarebbe allora la paralisi o la disintegrazione.

La seconda lezione ha a che fare con le risorse e gli strumenti di contrasto alla strategia di disinformazione e influenza russa, che riguarda i paesi candidati ma anche le stesse democrazie europee.

In Moldavia l’Unione ha lanciato la prima missione di sostegno al governo per contrastare le attività destabilizzanti della Russia (Eupm Moldova). Un team di esperti civili europei supporta il settore della sicurezza moldavo e cerca di prepararlo a contrastare le minacce ibride, compresa la sicurezza informatica, la manipolazione e l’interferenza straniera. Questi sforzi sono risultati palesemente insufficienti rispetto all’offensiva russa.

Da parte europea dovrebbe esserci uno scatto in avanti, per mettere in atto una strategia integrata che unisca il supporto alle istituzioni con l’uso di strumenti digitali e di intelligenza artificiale, non tralasciando l’investimento nell’alfabetizzazione mediatica e nell’attivismo civico dei cittadini delle società interessate. Il destino europeo e la sua sicurezza passano anche da qui.

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