Vladimir Putin ha già fatto sapere che, in caso di armi a Kiev per colpire il territorio russo, considererà la Nato in guerra e promesso «reazioni appropriate»
L’orologio atomico, nell’ultimo aggiornamento del gennaio scorso, segnava novanta secondi alla mezzanotte. Non era mai stato così vicino al gong. Bisognerà attendere il prossimo gennaio per capire se, secondo gli scienziati che lo regolano una volta l’anno, avrà fatto ulteriori passi verso l’Apocalisse. Si potrebbe scommettere su un’avanzata di alcune decine di secondi se Volodymyr Zelensky potrà usare le armi a lunga gittata dell’occidente per colpire il territorio russo.
Vladimir Putin ha già fatto sapere che, nel caso, considererà la Nato in guerra e promesso «reazioni appropriate». Non ha evocato l’arma nucleare, lascia che quel termine fiorisca e abbondi sulla bocca del suo servo sciocco Dmitry Medvedev. Lo aveva però fatto in passato nel caso che il conflitto prendesse la piega di una «minaccia esistenziale della Russia».
Sul filo della semantica corrono le interpretazioni da brivido su cosa si debba intende per “minaccia esistenziale”. Dovremmo concludere che la clamorosa azione dell’esercito ucraino nel Kursk cioè sul territorio sacro russo, peraltro ora in fase di ripiegamento, non lo sia visto che non è stato schiacciato il pulsante fatale.
E poi l’uso delle armi di Usa e Gran Bretagna sono sufficienti per considerare la Nato belligerante e trasformino il conflitto da regionale in mondiale? L’impressione è che Putin sia un giocoliere delle parole e si tenga aperta una porta d’uscita per non passare ai fatti. Altro sarebbero i soldati dell’Alleanza sul terreno, un’idea espressa peraltro finora solo dal presidente francese Emmanuel Macron cui sono seguite anodine spiegazioni e distinzioni.
Prudenza, fughe in avanti poi sconfessate. E ci mancherebbe. Già è raccapricciante il fatto che il tabù della bomba, durato per tutta la Guerra Fredda ed oltre, sia stato violato nei discorsi ufficiali. All’inizio fu diffuso il terrore che si potesse usare l’atomica, sì ma piccola piccola. Un giocattolo di morte che sta nello zaino di un generale, una bomba nucleare tattica in grado di provocare la distruzione su un fazzoletto di terra delimitato. Eppure, più potente di quella lanciata su Hiroshima.
È stato proprio il conflitto asimmetrico tra un Paese che ha l’atomica, la Russia, e un paese che non ce l’ha, Ucraina, che ha obbligato l’occidente a mettere alcuni paletti, a causa dello spettro di una possibile, eventuale Terza Guerra Mondiale. A poco a poco quei paletti sono caduti. Prima no ai caccia e poi si ai caccia. Prima no ai carri armati e poi ecco i carri armati. Prima la discussione accademica su cosa siano le armi d’attacco e le armi di difesa, per concludere che non possono esserci distinzioni.
Ora il passo avanti con gli ordigni sul territorio russo. È evidente che tanti cambi d’opinione sono dipesi dall’andamento del conflitto. Eppure era chiaro fin dall’inizio che il confronto impari si sarebbe potuto riequilibrare soltanto con un impegno diretto della Nato a fianco degli ucraini, nonostante la loro valorosa autodifesa. Troppo soverchiante la supremazia degli arsenali dello zar, il numero di soldati a disposizione del Cremlino rispetto a quelli di Kiev.
La diplomazia non è mai stata efficace proprio perché si è sempre perpetuato l’equivoco su cosa dovesse essere il risultato finale. Il ritorno dell’Ucraina ai confini di prima del febbraio del 2022, o se si vuole a prima del 2014 quando Putin si annesse la Crimea: l’occidente lo ha promesso a Zelensky senza i passi opportuni per realizzare l’impresa.
L’accettazione, a un certo punto, del risultato sul campo, l’Ucraina monca della Crimea e di una fetta di Donbass e che però poteva vantare di aver salvato il resto del Paese, impedito che i carri armati con la “z” dipinta prendessero la capitale: non si è voluto cedere per non darla vinta a Putin, nel timore che un successo lo possa spronare ad aumentare gli appetiti, sui Baltici, sulla Moldavia.
Non potendo decidere sulle uniche due opzioni possibili, si sta perpetuando da due anni e mezzo una guerra che ora sembra aspettare le elezioni americane per capire come procedere, a seconda di chi andrà alla Casa Bianca. Intanto si va avanti per tentativi, sperando che le minacce di Putin siano solo un bluff.
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