La pancia dell’occidente è da tempo in subbuglio, il clima dell’opinione pubblica è surriscaldato e polarizzato. Di conseguenza non va sfidato perché reagisce male. Ogni azzardo viene respinto con perdite di chi l’ha proposto, come avvenne a Cameron con il suo referendum sulla Brexit o con la personalizzazione estrema del referendum costituzionale italiano del 2016, o ora con la scelta di Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale. Ci sono altri esempi. Le dissoluzioni anticipate in Francia si sono sempre rivelate un boomerang, come accadde a Chirac: quasi che la Quarta Repubblica (quella parlamentarista all’italiana per intendersi) non fosse mai morta e si vendicasse della Quinta.

Il trionfo delle emozioni rende ogni quadro politico incerto e fragile ma influenza anche i leader portandoli a scelte temerarie che la popolazione in genere respinge. Non importa se subito dopo la medesima opinione pubblica rimpiange le proprie scelte, come sta avvenendo in Gran Bretagna: ormai il danno è fatto. Così, se domenica non ci sarà maggioranza in Francia (dal barrage si passerà al blocage), saranno molti i francesi a rimpiangere il proprio voto (al primo o al secondo turno), ma è troppo tardi… Non si vota così, come non si governa con la collera, la rabbia, l’ira.

Tra antipolitica, populismo (di tutti) e allarmismo emozionale, ormai anche la politica-spettacolo si è ridotta a subire i contraccolpi delle scelte volubili del grande pubblico, quasi fosse uno spettacolo, un talk qualunque o una gara sportiva. Forse non si può fare diversamente al tempo della comunicazione assoluta, dei social (che permettono a tutti di esprimersi sull’attimo, salvo poi rammaricarsi…), del presentismo e della trasparenza (una luce che alla fine acceca). Ma è un danno. Di conseguenza occorre raffreddare. I processi politici vanno rapidamente attenuati se non si vuole rischiare la reazione a catena. Ciò che accade a Bruxelles, con le infinite liturgie europee della Commissione e del Consiglio, rappresenta un buon esempio di quello che andrebbe fatto: lunghe riunioni quasi imperscrutabili ma che non si svolgono sull’onda dell’emozione, della battuta, della ripicca, dello show comunicativo. Se qualcuno ci prova, viene subito respinto. Si dirà che è poco trasparente: meglio così.

Infatti la trasparenza che utilizziamo oggi è una finta: è diventata una luce che abbaglia, che non fa vedere al di là del momento, pretende di illuminare ma inganna. È forse venuto il momento per addormentare certi impulsi violenti e smetterla di credere nel leaderismo carismatico rapido e veloce, che combina solo guai, per mettersi a studiare la realtà in maniera diversa. Non serve rapidità, ma approfondimento: il mondo è troppo complesso per apprendisti stregoni o dilettanti; la società è troppo viscerale e ipersensibile per continue dispute senza senso.

Il sostrato culturale che ci ha messo in tali condizioni è la guerra. Competitività, contrapposizione e infine guerra ci hanno fatto credere che fossero il solo modo per vederci chiaro, per parlar chiaro, per ottenere risultati. Abbiamo creduto che nel mondo veloce della tecnologia e della globalizzazione economica occorresse una politica altrettanto veloce, in grado di anticipare gli eventi con scelte spericolate e di reagire agli accadimenti con forza e veemenza. Una politica senza fiato. Ma tutto questo ci ha portato in un gorgo ingovernabile fatto di istinto, sensazioni, colpi e contraccolpi senza fine.

E ci ha trascinati fino alla guerra vera, considerata uno strumento come un altro. È evidente che l’involuzione della politica ha seguito un decadimento culturale che le ha aperto la strada. Le guerre attuali aumentano la magnitudine di tale avvitamento emotivo, con continue polemiche e tifoserie, in cui non è richiesto di pensare, ma solo di schierarsi, quasi fossimo a una partita di calcio. Tale deriva va frenata, raffreddata. Ci serve un’altra politica, più razionale e controllata. Forse anche più lontana dalla pancia della società. Non si governa con colpi ad effetto o con forzature che creano solo contraccolpi. Vale per tutti.

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