Bloccare la navigazione in uno stretto internazionale, anche solo parzialmente, è una cosa incredibilmente seria. È una violazione del diritto di «passaggio innocente» come definito dall’art. 19 della Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (Unclos). Nel marzo 1985, la petroliera Patmos si scontrava, nello Stretto di Messina, con la nave Castillo del Monte Aragon: uno dei tanti disastri petroliferi del Mediterraneo, che sverserà in mare 80mila tonnellate di greggio. In risposta, le autorità italiane vietarono lo stretto alle petroliere di oltre 10mila tonnellate, sollevando però le proteste di molti contro una violazione del diritto internazionale. E tra questi, quelle del governo Usa.

Limitare il transito in uno stretto è questione da valutare quindi con molta cautela, e la costruzione di ponti su stretti ha già attivato in passato contenziosi internazionali, ma non sembra che questo tema sia mai stato affrontato in relazione al progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Ne accenna ad esempio il rapporto “Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte” di Kyoto Club, Lipu e Wwf, dove, al cap. 6, si cita tra l’altro un lungo elenco di navi che sotto quel ponte non potrebbero passare. È stato dichiarato che il ponte avrà un «franco navigabile» (lo spazio navigabile in sicurezza) con un valore oscillante tra 72 e 65 metri (con il passaggio dei mezzi il ponte, per il loro peso, si abbasserebbe di 7 metri). Per ovvi motivi il franco navigabile deve avere un valore certo e non può cambiare di giorno in giorno (o di ora in ora).

​​​​​​Una nave che parte da qualunque altro porto deve sapere con certezza se sotto quel ponte ci passa o no. Sarebbe come avere un’autostrada in cui le gallerie hanno un’altezza variabile: per un camion, l’opzione “forse ci passo” non può esistere. Dunque, il franco navigabile si dovrebbe attestare al valore inferiore: assumiamo quindi sia di 65 metri. Luigi Merlo, presidente di Federlogistica, ha già fatto presente come attualmente nello Stretto transitano navi con franco navigabile che può eccedere tale limite. Si comprende la preoccupazione degli armatori in particolare considerando lo scarto con il canale di Suez, che ha un franco navigabile di 68 metri, quindi maggiore di quello che pare consentito dalle caratteristiche del progetto attuale del ponte. Ciò potrebbe avere impatti notevoli sui traffici commerciali, in particolare quelli diretti verso il porto di Gioia Tauro.

Tale porto peraltro, proprio in questi giorni, si sta dotando di quattro gru da carico che, da notizie stampa apprendiamo, «saranno in grado di servire le grandi navi oceaniche anche da 25mila teus» – un teu misura standard dei container di circa 6 metri – che possono portare a bordo container per altezze anche oltre i 70 metri.

Un franco navigabile effettivo di 65 metri sarebbe insufficiente a garantire il pieno diritto all’attraversamento dello Stretto di Messina, che è uno “stretto internazionale”, in violazione della citata convenzione Unclos. Giusto per fare un esempio dalla cronaca recente, il Bayesian, affondato al largo di Porticello (PA), aveva un albero di oltre 72 metri. Per ragioni di efficienza e logistica si va verso un “gigantismo navale” che spinge alla costruzione di navi sempre più alte: soprattutto portacontainer e navi da crociera. A queste vanno aggiunte quelle abilitate a trasportare altre imbarcazioni e strutture – come piattaforme petrolifere o, in prospettiva, grandi impianti eolici offshore – che a pieno carico possono eccedere il franco navigabile che sarebbe previsto dal progetto attuale del ponte.

E poi ci sono le navi militari, ad esempio le portaerei. Lo scorso anno, in Mediterraneo incrociava la Uss Gerald Ford la prima di una nuova classe di portaerei a propulsione nucleare di cui sono previsti dieci esemplari. Altezza massima di queste portaerei: 250 piedi, cioè oltre 76 metri. Bloccare a questi mezzi il passaggio nello Stretto di Messina sarebbe certo una grande “mossa pacifista”, ma dubitiamo non sollevi obiezioni a livello internazionale.

Greenpeace ha formalmente comunicato alla commissione di Valutazione di impatto ambientale che l’attuale progetto potrebbe dunque avere ripercussioni gravi sul piano delle relazioni internazionali, col pericolo di innescare conflitti legali internazionali. Oltre ai rischi per l’ambiente e per l’economia del paese, il progetto attuale rischia di innescare contenziosi internazionali in un momento in cui proprio non se ne sente il bisogno.

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