Gli ultimi dati Istat dimostrano che l’Italia ha raggiunto il valore più alto di povertà assoluta dal 2014. Nel 2023, l’Ue ha varato una raccomandazione sul reddito minimo, ma serve una direttiva. Una richiesta da ribadire nel parlamento Ue che verrà eletto a giugno
Il rapporto Istat 2024, diffuso alcuni giorni fa, segnala il valore più alto di povertà assoluta raggiunto in Italia dal 2014, cioè da quando l’Istituto di statistica ha iniziato a misurare e pubblicare questo particolare indice. Nel 2023 erano poveri assoluti il 9,8 per cento degli individui e l’8,5 per cento delle famiglie. L’Unione europea può aiutarci a contrastare questa situazione.
L’affermazione può stupire. La gestione europea della crisi greca non ha peggiorato drammaticamente le condizioni di vita in quel paese? Ancora oggi nell’Unione 95 milioni di persone sono a rischio di povertà relativa ed esclusione sociale, e fra queste è in crescita il numero dei minori. E poi il contrasto alla povertà non rientra nelle competenze dei paesi membri.
Nuovo pilastro europeo
Tutto ciò è vero. Dal 2017, abbiamo, però, un pilastro europeo dei Diritti sociali, approvato da tutti i paesi membri. Il principio 14 afferma testualmente che «chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi».
In coerenza a tale principio, nel 2023, l’Unione ha varato la raccomandazione sul Reddito minimo, che aggiunge indicazioni importanti. Riconosce la relazione tra povertà e bassi salari; auspica sistemi adeguati di indicizzazione ai prezzi; sottolinea il ruolo sia della voce dei beneficiari nei percorsi di attivazione sia la necessità di contrastare le possibili iniquità nella ripartizione intrafamiliare delle risorse.
Certo, il pilastro e la raccomandazione sono soft law. Hanno, sì, un potere espressivo e richiedono un apparato di monitoraggio che può porre pressione sui paesi membri inadempienti. Non è previsto, però, alcun potere coattivo.
Non a caso, da sempre lo European Anti-Poverty Network e altre organizzazioni della società civile richiedono una direttiva, e lo stesso ha fatto il parlamento europeo nella risoluzione del marzo 2023. Nel testo di quest’ultima si legge che «è tempo di sostenere una direttiva quadro dell’Ue che consenta a tutti indipendentemente dal luogo in cui si vive nell’Unione, di avere accesso a un tenore di vita dignitoso».
Questa richiesta va ribadita nel parlamento Ue che verrà eletto con le prossime elezioni. Una direttiva europea ci impedirebbe di essere, ancora una volta, l’unico paese europeo a non avere un reddito minimo universale, capace di includere tutte le persone povere.
L’eccezione italiana
Dal 1° gennaio di quest’anno, infatti, in Italia abbiamo due programmi, di cui uno, il Sostegno formazione lavoro destinato agli occupabili, cessa definitivamente dopo un anno, lasciando senza protezione chi ancora non fosse occupato oppure, pur lavorando, restasse povero.
Non importa se gli occupabili siano curiosamente definiti sulla sola base dell’età e dell’assenza di responsabilità di cura, nella totale trascuratezza della distanza dal mercato del lavoro. Il godimento è poi comunque condizionato all’esercizio di attività formative o all’accettazione di un lavoro, non importa se i centri per l’impiego possano non funzionare o se l’offerta di lavoro sia un contratto part time in qualsiasi posto d’Italia.
L’Unione europea, inoltre, ha iniziato un importante lavoro in diversi ambiti di contrasto alla povertà complementari al reddito minimo: dall’introduzione di un nuovo ammortizzatore sociale europeo contro la disoccupazione all’estensione degli ammortizzatori al lavoro non standard e alla realizzazione di forme di democrazia economica nelle imprese. Bisogna continuare su questa strada, come scriviamo anche noi del Forum disuguaglianze e diversità nel libro appena pubblicato, dal titolo Quale Europa (Donzelli editore).
Ciò non significa difendere un super stato europeo, e neppure che qualsiasi Unione serva o che la via sia semplice. Il metodo intergovernativo è ancora centrale e il nuovo Patto di stabilità e crescita pone più di una minaccia.
Significa riconoscere il contributo che l’Unione europea, insieme agli altri livelli di governo e alla partecipazione dei cittadini e delle cittadine dell’Unione, può dare alla realizzazione dei diritti sociali. Significa altresì scegliere quale Europa conta e che, anche a trattati immutati, il parlamento europeo ha un ruolo da giocare.
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