Il governo sta varando i decreti legislativi di attuazione della legge delega fiscale approvata qualche mese fa. Si tratta prevalentemente di decreti che riguardano aspetti di amministrazione fiscale, mentre i provvedimenti che sono destinati a ridisegnare le basi imponibili e le aliquote delle diverse imposte (Irpef, Iva e Ires) dovrebbero essere emanati prossimamente.
Nel frattempo, il governo ha inserito nella legge di bilancio, per il solo 2024, l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef e, contemporaneamente, una riduzione delle detrazioni per i contribuenti con reddito superiore a 50 mila euro. Ma si tratta, appunto, di revisioni temporanee che dovrebbero essere riassorbite quando il governo ridisegnerà (anche) l’Irpef.
Che cosa dobbiamo aspettarci? Non è facile rispondere a questa domanda per due ragioni. Primo, il disegno di legge delega, invece di ispirarsi ad un modello di riferimento coerente, prevede una serie di modifiche puntuali di singoli aspetti della normativa fiscale che sono tenuti insieme solo da una generica logica di riduzione del carico fiscale per specifiche categorie di contribuenti.
Secondo, l’entità di questi cambiamenti dipenderà dalle risorse a disposizione, che, secondo le stesse disposizioni della legge delega, possono provenire esclusivamente o dal recupero dell’evasione o da provvedimenti di inasprimento fiscale.
La logica di fondo
Poiché i vincoli di bilancio andranno comunque riconsiderati alla luce delle nuove regole del Patto di stabilità, voglio qui concentrarmi sul primo aspetto, ovvero sulla logica di fondo della riforma fiscale. Per anni le forze attualmente al governo hanno fatto della riduzione generalizzata del carico fiscale attraverso la flat tax per tutti una delle loro bandiere elettorali. Le difficoltà della finanza pubblica hanno tuttavia fortemente ridimensionato gli obiettivi. La legge delega prevede quindi una serie di interventi ad hoc.
Per i pochi autonomi che ancora pagano l’Irpef perché non usufruiscono del regime forfettario, ecco in prospettiva l’aumento dell’area di esenzione fiscale o no tax area, che dovrebbe essere resa uguale a quella dei lavoratori dipendenti (recentemente parificata a quella dei pensionati). Per i dipendenti che hanno un rapporto di lavoro stabile, si ventila la detassazione delle tredicesime.
Per i proprietari immobiliari, arriverà l’estensione della cedolare secca anche all’affitto dei negozi. Per chi ottiene dividendi azionari o interessi sulle obbligazioni, la delega apre la strada alla possibilità di creare, con l’aiuto dell’industria finanziaria, minusvalenze con cui rinviare all’infinito il pagamento delle imposte. Si arriva fino al punto di ipotizzare la riduzione dell’aliquota Iva sulle importazioni di opere d’arte (!). La logica di fondo sembra quindi quella di individuare categorie di contribuenti da privilegiare, senza alcuna visione d’insieme.
Equità orizzontale
In cosa consiste una visione d’insieme in una riforma fiscale? Significa che una riforma dovrebbe essere disegnata sulla base di obiettivi di efficienza economica, di equità verticale (progressività) e di equità orizzontale. I principi e le norme di attuazione dovrebbero poi declinare questi obiettivi in modo il più possibile coerente, sapendo che, se non impossibile, è molto difficile soddisfarli tutti e contemporaneamente, e quindi facendo delle scelte chiare e trasparenti. Questo approccio è più semplice se la riforma si basa su un modello, come avveniva nella legge delega votata dal governo Draghi che si ispirava al modello duale tipico dell’Europa settentrionale.
Nella legge delega del governo Meloni, salvo un richiamo en passant alla progressività, l’enfasi viene posta sull’equità orizzontale. Si tratta del principio per cui i contribuenti che hanno la stessa capacità contributiva dovrebbero essere tassati nella stessa misura. Questo principio è effettivamente ampiamente violato nell’Irpef italiana, ma è facile vedere che la legge delega non si muove affatto nel senso di aumentare l’equità orizzontale propriamente intesa.
L’equità orizzontale vorrebbe che, in linea di principio, le regole fossero uguali per tutti: se il reddito di Caio, da qualsiasi fonte io lo ottenga, è uguale a quello di Sempronio le imposte pagate da Caio e da Sempronio dovrebbero essere uguali. Invece, nell’Irpef italiana esiste un florilegio di regimi agevolati e speciali, per cui ogni contribuente paga imposte diverse da un altro anche quando i redditi di partenza sono uguali, ovvero l’esatto contrario dell’equità orizzontale.
Per alcuni lavoratori autonomi c’è il forfettario, per alcuni lavoratori dipendenti c’è la detassazione dei premi di produttività, per gli agricoltori c’è un regime ad hoc, per chi ottiene reddito dai fabbricati c’è la cedolare secca, per chi ottiene degli interessi dai titoli di stato c’è l’aliquota ridotta e così via.
Irpef colabrodo
Centinaia di regimi agevolati che hanno reso l’Irpef un colabrodo, un’imposta complessa e irrazionale che, per produrre gettito, deve applicare aliquote effettive elevate su coloro che non riescono a fruire di uno dei regimi agevolati.
Ebbene, di fronte a questa situazione ci si aspetterebbe che una riforma che, a parole, si basa sul principio dell’equità orizzontale si ponesse l’obiettivo di eliminare o almeno riassorbire progressivamente alcuni di questi regimi agevolati. Invece la delega si muove esattamente nella direzione contraria, dichiarando l’intoccabilità di alcuni regimi agevolati (il regime forfettario, i regimi ad hoc per i redditi agrari e la tassazione ridotta dei redditi da capitale) e ampliandone altri (come la cedolare secca sugli immobili).
Eppure il superamento dei regimi agevolati, e il loro progressivo riassorbimento nell’Irpef potrebbe costituire un ottimo punto di partenza, perché, potenzialmente, è in grado di aumentare sia l’efficienza sia l’equità del sistema fiscale.
Avere tanti regimi agevolati spinge i contribuenti a scegliere come lavorare o come investire solamente per avere uno sconto fiscale, il che è il contrario dell’efficienza. Se il trattamento fiscale del lavoratore autonomo è molto favorevole rispetto a quello del lavoratore dipendente, il datore di lavoro ha un’ulteriore ragione per avere una finta partita Iva che può pagare di meno a parità di retribuzione netta percepita dal lavoratore.
Se comprando un titolo di stato gli interessi sono tassati al 12,5 per cento e invece comprando un’obbligazione privata sono tassati al 26 per cento, il risparmiatore preferisce comprare i primi solo per avere il vantaggio fiscale. Non solo. I regimi agevolati, che per definizione come abbiamo visto violano il principio di equità orizzontale, spesso pregiudicano fortemente anche l’equità verticale.
La cedolare secca sui redditi immobiliari, che consente di ridurre il prelievo al 21 per cento, ha avuto un effetto nettamente regressivo, favorendo i multiproprietari immobiliari con un effetto di emersione minimo, come documentato nella Relazione Evasione pubblicata dal Mef nel 2022.
Allargando lo sguardo all’Iva, molte tipologie di beni e servizi sottoposti ad aliquota ridotta o ultraridotta non sono giustificabili né alla luce di principi di equità e neppure di efficienza, ed entrambe potrebbero essere migliorate riducendo il numero di aliquote e la differenza tra i livelli delle stesse.
Memorandum per la sinistra
Riportare i redditi personali nella base imponibile dell’Irpef, superando gradualmente i regimi agevolati ed eliminando le detrazioni che negli anni sono state concesse per le più svariate ragioni, è la condizione necessaria per ridare a quest’imposta il senso originario di architrave del nostro sistema fiscale.
Il superamento dell’erosione della base imponibile dell’Irpef, insieme con una nuova fase nell’azione di contrasto dell’evasione fiscale, vanno entrambe nella direzione di portare nuove e indispensabili risorse al welfare e di consentire la riduzione delle aliquote troppo elevate sui redditi della fascia tra 28 e 50 mila euro annui. Questa non è evidentemente la strada scelta dal governo attuale: potrebbe esserlo per un futuro, ipotetico governo di centro-sinistra?
La domanda non è affatto retorica perché, giova ricordarlo, i regimi agevolati e le detrazioni ad hoc sono fiorite sotto i governi di centro-sinistra degli anni passati ed oggi ci vorrebbe una buona dose di coraggio politico per ammettere che si è trattato di un modo comodo ma irrazionale di usare lo strumento fiscale.
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