È passato un mese esatto da quando gli ucraini hanno lanciato la loro offensiva a sorpresa contro la regione di Kursk, in Russia. Dopo aver occupato circa mille chilometri quadrati di territorio, catturato centinaia di prigionieri, ora i soldati di Kiev si sono trincerati e si preparano a difendere quanto conquistato.

Dal punto di vista propagandistico, l’operazione è stata un successo che ha rialzato il morale ucraino dopo mesi di cattive notizie e invertito la narrazione del conflitto sui principali media internazionali. Inoltre, le autorità ucraine hanno fatto capire che intendono usare il territorio occupato come merce di scambio, per costringere la Russia a cedere almeno parte dei territori occupati nei futuri negoziati.

Tuttavia, l’attacco per il momento ha fallito il suo principale obiettivo militare. Nessuna forza russa significativa è stata distratta dal tritacarne del Donbass, l’area dove le truppe del Cremlino avanzano senza sosta e hanno persino intensificato gli attacchi in queste settimane. 

L’ambizioso raid rischia quindi di mettere la leadership ucraina di fronte a un dilemma difficile da risolvere. Continuare a difendere il territorio occupato a Kursk e rischiare di sacrificare aree ben più strategiche del proprio territorio nazionale, oppure dichiarare fallita l’operazione e ritirarsi, concentrando la difese sui territori minacciati?

L’attacco

L’offensiva ucraina è stata lanciata lo scorso 6 agosto, dopo una meticolosa preparazione di cui, persino a Kiev, molti erano stati tenuti all’oscuro. Secondo molti analisti, l’operazione porta la firma del comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Oleksandr Syrsky, che già nel novembre del 2022 aveva pianificato un raid a sorpresa contro un’area scarsamente difesa dalle truppe russe. L’offensiva aveva portato alla liberazione della regione di Kharkiv e alla cattura di numerosi prigionieri.

Questa volta sembra che l’impulso dell’operazione si arrivato dalla leadership politica, desiderosa di una vittoria con cui consolidare il morale in vista dell’inverno e in cerca di una moneta di scambio da utilizzare in caso dovesse trovarsi costretta a trattare con il Cremlino (ad esempio, in caso di vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi di novembre). Dal punto di vista militare, l’attacco era giustificato dal desiderio di distrarre truppe russe dal Donbass.

Per compiere l’attacco, Syrsky ha messo insieme alcune delle unità migliori delle forze armate ucraine: forze speciali, unità di volontari, come la Legione georgiana, e le brigate d’assalto aeree, la 95esima e 80esima. Secondo le principali stime, si tratta in tutto di 10-20 soldati.

Diverse interviste alle truppe che hanno partecipato all’operazione hanno rivelato che almeno alcune delle unità schierate a Kursk erano state trasferite direttamente dal Donbass, sguarnendo la linea ucraina maggiormente sotto pressione. «L’offensiva ha indebolito altre parti del traballante fronte ucraino», hanno scritto gli analisti Michael Kofman e Rob Lee in un loro recente articolo per Foreign Affairs.

I risultati

I primi giorni dell’offensiva hanno visto un successo quasi senza precedenti. La sorpresa è stata completa e la reazione russa caotica. Intere unità dell’esercito russo, spesso formate da soldati di leva, si sono arrese senza combattere, mentre colonne di rinforzo sono state distrutte in imboscate e attacchi con missili a lungo raggio Himars.

Gli ucraini hanno rapidamente occupato un’area che, secondo le stime più ottimistiche fornite dagli alti comandi ucraini, si estende per oltre 1.250 chilometri quadrati e comprende circa un centinaio di villaggi. Per dare un’idea, si tratta di un’area più grande di quanto riconquistato dagli ucraini durante tutta la controffensiva della scorsa estate (ma appena un decimo dei 12mila chilometri quadrati liberati nella controffensiva di Kharkiv, due anni fa).

Il 15 agosto, gli ucraini hanno completamente occupato Sudzha, che con 5mila abitanti e la presenza di diverse infrastrutture stradali e relative al pompaggio di gas, è l’obiettivo più importante in tutta l’area occupata.

Dopo due settimane, l’arrivo di rinforzi russi ha lentamente consolidato il fronte. Secondo il generale Syrsky, una settimana fa i russi avevano accumulato 30mila soldati nell’area. Oggi le linee sono sostanzialmente stabili, con gli ucraini concentrati a difendere quanto occupato e i russi apparentemente senza fretta di riconquistarlo.

Il fronte del Donbass

Kiev ha celebrato la sua vittoria per settimane, sui media e su internet, con decine di meme. Per giorni, l’offensiva ha rappresentato un atteso rinforzo al morale traballante di civili e soldati. Secondo Zelensky, l’attacco ha avuto anche l’effetto di rallentare l’avanzata russa in Donbass. Ma non tutti sono d’accordo con questa ottimistica valutazione.

Contraddicendo in parte il suo superiore, Syrsky ha detto che nelle ultime settimane la pressione sulla città chiave del fronte orientale, il nodo logistico di Pokrovsk, non ha fatto che aumentare. Secondo analisi indipendenti, in questa area della regione di Donetsk, l’esercito russo ha mantenuto alcune delle sue unità più preparata, oltre a fornire loro un costantemente munizioni e un supporto aereo considerevole.

I rinforzi per Kursk sono stati invece presi da altre direzioni, come quella di Kharkiv. Inoltre, sono state inviate sul posto unità di seconda linea, mercenari del gruppo Wagner ritirati dall’Africa e soldati di leva che, per legge, non possono essere impiegati in Ucraina, ma che possono invece aiutare a contenere un incursione sul territorio nazionale. Secondo Kofman e Lee, l’attacco ucraino «non ha ancora costretto la Russia a spostare forze significative dal Donbass».

Oltre a Pokrovsk, che prima della guerra aveva circa 60mila abitanti, gli ucraini controllano soltanto un pugno di altre città del Donbass. «Se perdiamo Pokrovsk, l’intero fronte potrebbe crollare», ha detto l’esperto ucraino Mykhaylo Zhyrokhov.

Il dilemma

Questa settimana, Zelensky ha detto che l’Ucraina manterrà il controllo sulla regione di Kursk a tempo «indefinito» e che l’operazione fa parte della strategia per «mettere fine alla guerra».

Le parole del presidente, unite alle immagini dalla zona delle operazioni che mostrano da giorni le truppe di Kiev impegnate a scavare trincee, indicano che per il momento gli ucraini non hanno intenzione di abbandonare le loro conquiste per rinforzare il fronte del Donbass.

Zelensky sembra scommettere sulla tenuta del suo fianco sud-est e sulla possibilità di utilizzare i territori occupati come moneta di scambio in fase di negoziato, soprattutto se una vittoria di Trump o altre eventi lo costringeranno a trattare nel prossimo futuro.

Ma è una scommessa rischiosa. Sudzha, con i suoi cinquemila abitanti, non è necessariamente una preda dello stesso valore di Pokrovsk o delle altre città del Donbass minacciate dall’avanzata russa, come Kramotorsk e Slovyansk, tutte con decine di migliaia di abitanti e simbolicamente non certo meno importanti.

Nel caso le cose si mettano al peggio, Zelensky e gli altri leader di Kiev dovranno non solo annunciare la sconfitta, ma giustificare l’operazione di Kursk, che potrebbe essere accusata di averla favorita.

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