L’opacità attorno a questa storia è il peggior biglietto da visita per l’Italia che dovrà ospitare tra non molto un evento mondiale come il G7 della cultura. L’operazione trasparenza in corso non sarà sufficiente a cancellare il dubbio di una permeabilità che espone le istituzioni al ricatto
Storie di ricatti e politica. O per meglio dire, di ricattabilità di uomini e donne ai vertici delle istituzioni. Tessute assieme ne verrebbe fuori una trama all’altezza di Scandal o House of Cards, serie tv americane di successo con protagonisti presidenti americani in perenne lotta con le conseguenze dell’esercizio del loro potere sul mondo e sulla sfera intima.
È l’eterna coesistenza del pubblico e del privato. A volte la convivenza è pacifica a tal punto da apparire noiosa perché impostata sul rigore etico, in altri casi diventa materia di gossip che ben presto sconfina nella cronaca politica in grado di far traballare governi o addirittura decretarne la fine. Perché esiste un limite che nulla ha a che vedere con il conformismo. Il confine è la ricattabilità di un ministro o di una presidente del Consiglio e persino di un semplice sindaco o assessore.
Chi ricopre ruoli di rango nell’amministrazione della cosa pubblica non deve certo privarsi della propria vita privata, ha diritto alle vacanza con gli amici, con la famiglia e persino con l’amante o amanti. E può nominare chi vuole se i curriculum valgono tale avanzamento di carriera. Tutto legittimo. Non è consentito, tuttavia, trasformare il privato in arma di ricatto contro sé stesso. L’intrigo di fine estate con al centro del palcoscenico Maria Rosaria Boccia, la consulente “fantasma” del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, segnala una certa superficialità nella gestione del ministero, permeato da aspetti della vita privata che potrebbero condizionarne le scelte. Ed è il metodo utilizzato da Boccia a trasformare un’amicizia in un pericoloso gioco di pressioni.
La “non” consulente del ministro ha utilizzato documenti interni, e-mail, registrazioni audio, per smentire le versioni ufficiali di Sangiuliano e pure della presidente del Consiglio. Tutto vero e dato in pasto ai suoi follower sui social. Che mole di informazioni riservate possiede Boccia? È a conoscenza, Boccia, di affari governativi o dinamiche interne che potrebbero destabilizzare il governo? Si tratta di domande che meriterebbero risposte senza ambiguità.
L’opacità attorno a questa storia è il peggior biglietto da visita per l’Italia che dovrà ospitare tra non molto un evento mondiale come il G7 della cultura. Sangiuliano ha spiegato che ogni spesa nei viaggi con l’amica consulente “fantasma” non ha pesato sulle casse pubbliche del ministero di cui è a capo. Ha pagato, cioè, tutto con la sua carta di credito personale, ha persino promesso che pubblicherà scontrini, fatture e altre pezze d’appoggio utili a diradare la nebbia ormai scesa sul palazzo di via del Collegio Romano.
Non sarà però questa operazione trasparenza, suggerita, vociferano alcune fonti, dalla premier a salvare il ministro dalle sue responsabilità. Forse basterà a Meloni per un tornaconto personale, evitare cioè il rimpasto di governo. Ma non sarà sufficiente a cancellare il dubbio di una permeabilità che espone le istituzioni al ricatto. Ed è un curioso cortocircuito: la presidente del Consiglio che ha rivendicato a favore di telecamere il suo non essere «ricattabile» almeno in due occasioni, derubrica il caso Boccia a mera contabilità finanziaria. Evocare complotti serve solo a coprire l’inadeguatezza dei patrioti al governo. Il pasticcio sangiulianesco ha tutt’altra natura. E una sola conseguenza: la ricattabilità.
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