- Il meccanismo del payback impone alle imprese che hanno commercializzato dispositivi medici di ripianare il 50 per cento dello scostamento dal tetto di spesa stabilito.
- Pertanto, se le regioni bandiscono gare la cui entità complessiva supera il fondo sanitario a disposizione, cioè spendono più soldi di quanto consentito, le aziende che hanno vinto le gare dovranno rimediare agli errori di chi le ha bandite, senza avere alcuna responsabilità in merito.
- In un question time, il ministro Giorgetti ha parlato non di eliminazione del meccanismo, ma solo di «manutenzione della normativa». Intanto, aziende del settore rischiano di chiudere, non garantendo più forniture di materiale sanitario, inclusi prodotti salvavita, a scapito dei pazienti.
L’attesa sospensione del meccanismo del payback sui dispositivi medici, a opera della legge di bilancio, non c’è stata. Le conseguenze negative sui fornitori di tali dispositivi e, quindi, sul servizio sanitario nazionale e regionale, potrebbero essere rilevanti e ripercuotersi sulle persone che necessitano di cure e assistenza.
Il payback nasce con lo scopo di fronteggiare l’aumento di spesa sanitaria pubblica, quando le regioni superino i limiti previsti. Il meccanismo impone alle imprese che, nell’annualità di riferimento, hanno fornito dispositivi medici a strutture pubbliche - dai camici alle valvole cardiache, dalle protesi ortopediche al materiale per le attività chirurgiche - di ripianare parte (attualmente il 50 per cento) dello scostamento regionale dal tetto stabilito. La restante parte rimane a carico dei bilanci delle singole regioni. La spesa a livello nazionale per dispositivi medici deve annualmente essere non superiore al tetto del 4,4 per cento del fabbisogno sanitario nazionale.
Evoluzione normativa
Nel 2011 (d.l. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011) fu sancito che la spesa per dispositivi medici fosse fissata entro tetti stabiliti, di anno in anno, da decreti ministeriali. La norma disponeva che, in caso di sforamento del tetto da parte di una regione, quest’ultima coprisse il ripianamento.
Il vero e proprio payback è stato introdotto nel 2015 (d.l. 78/2015, convertito in l. n. 125/2015). La legge ha previsto che una parte dello sforamento del tetto per l’acquisto dei dispositivi medici – il 40 per cento per il 2015, il 45 per cento per il 2016 e il 50 per cento dal 2017 in poi - venisse posto a carico delle aziende fornitrici «in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisito di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale». La Legge di Bilancio 2019 ha, quindi, stabilito che un decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ogni anno certificasse l’eventuale superamento del tetto di spesa per l’acquisto di dispositivi medici.
Il payback è rimasto inattuato fino al 2022, quando il governo guidato da Mario Draghi ha deciso di dare un’accelerazione. Nel luglio 2022 un decreto (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 15 settembre) ha attestato il superamento dei tetti di spesa regionali e le somme da ripianare entro gennaio 2023. Poi, nell’agosto 2022, il decreto Aiuti bis (d.l. 115/2022, convertito in l. 142/2022) ha disposto che: entro il 15 ottobre, il Ministero della Salute, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, adottasse delle linee guida per le richieste di ripianamento alle aziende produttrici di dispositivi medici (le linee guida sono state adottate il 6 ottobre 2022); entro il 15 dicembre, le Regioni pubblicassero l’elenco delle aziende soggette a ripiano per ciascun anno e quantificassero le somme dovute da ciascuna azienda; entro 30 giorni da tale pubblicazione, le aziende versassero l’importo dovuto.
Le distorsioni del payback
Secondo i dati forniti, le aziende interessate dovranno rimborsare 416 milioni di euro per il 2015; 473 milioni per il 2016; 552 milioni per il 2017; e infine 643 milioni di euro per il 2018. In totale, oltre 2 miliardi di euro. Tali aziende possono comunque presentare ricorso al TAR avverso i provvedimenti regionali che quantificano la somma che sono tenute a restituire.
Il payback sui dispositivi medici parte da un presupposto che pare un assurdo: alle aziende fornitrici di dispositivi medicali viene chiesto di ripianare lo sforamento della spesa consentita per acquistare tali dispositivi, dovuto all’errata programmazione regionale. In altre parole, se le regioni, per acquisire tali dispositivi, bandiscono gare di importo complessivo superiore al fondo sanitario regionale a disposizione, cioè spendono più soldi di quanto sarebbe loro consentito, le aziende che hanno vinto le gare devono rimediare agli errori di chi le ha bandite, senza avere alcuna responsabilità in merito, e anzi essendosi attenute alle condizioni previste.
Come afferma la Federazione dei fornitori ospedalieri (FIFO), il payback finisce per essere «un escamotage per non pagare (facendoselo rimborsare) una parte del prezzo precedentemente pattuito e contrattualizzato a valle di una gara pubblica nella quale, come detto, è la Pubblica Amministrazione a fissare tutti i parametri». E ciò, oltre a essere ingiusto, pone i produttori privati in una situazione di incertezza, obbligandoli ad accantonare risorse in vista di un indeterminabile scostamento da ripianare, di anno in anno. Peraltro, il settore dei dispositivi medici è molto variegato. Per cui potrebbe succedere che una Regione abbia superato il tetto di spesa perché, ad esempio, ha acquistato troppe protesi ortopediche, ma lo sforamento dovrà essere ripianato da tutti i fornitori, quindi anche da chi fornisce camici o bypass coronarici. E saranno chiamate a rimediare allo sforamento non solo le imprese che fanno utili, ma anche quelle il cui mercato e/o fatturato si sia contratto nell’anno di riferimento.
Le parole di Giorgetti sul payback
L’applicazione del payback rischia di portare al fallimento diverse imprese fornitrici di dispositivi medicali, come denunciato da associazioni del settore. Il 14 dicembre scorso, il ministro Giancarlo Giorgetti, vertice del MEF, ha risposto in aula alla Camera a un question time sul tema, ove si chiedeva al Governo se non ritenesse opportuno «adottare iniziative volte a individuare altre forme di finanziamento degli sforamenti della spesa sanitaria, anche in considerazione del fatto che le imprese di fornitura del servizio sanitario sono quelle che maggiormente subiscono i ritardi di pagamento della pubblica amministrazione».
Giorgetti ha affermato che il payback è idoneo a «garantire un efficiente utilizzo delle risorse ed evitare distorsioni nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, assicurando l'effettività e l'universalità del diritto alla salute». Pertanto, il ministro non ha parlato di eliminazione del meccanismo, ma ha solo detto che «il Governo si riserva per il futuro una manutenzione della normativa in essere» relativamente al «payback sui dispositivi medici».
Nel mentre Giorgetti pensa a una «manutenzione della normativa», aziende del settore biomedicale - già in difficoltà a causa della crisi energetica e delle materie prime, e alle quali ora sono addossate le conseguenze dello sforamento della spesa sanitaria, come detto - rischiano di non poter proseguire le proprie attività, e quindi di dover chiudere, a partire da gennaio 2023. Le conseguenze negative si ripercuoterebbero sulle forniture di materiale sanitario, inclusi prodotti salvavita, a ospedali e strutture di cura, compromettendo il trattamento dei pazienti.
Come afferma il presidente di Confindustria Dispositivi Medici, Massimiliano Boggetti «è inaccettabile che il Governo non capisca l’impatto di un tale sistema sull’industria della salute e non comprenda le dinamiche e le conseguenze di questo provvedimento». Non serve aggiungere altro.
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