Un bel libro dello psicologo americano Howard Gardner (Changing Minds. The Art and Science of Changing Our Own and Other People’s Minds, Boston, Harvard Business School Press, 2004), tradotto in italiano da Feltrinelli (Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione, 2006), spiega bene come ogni cambiamento mentale, tanto più se radicale, non sia mai repentino ma necessiti invece, di passo in passo, di un tempo di stazionamento, di rielaborazione e di sedimentazione che può essere anche molto lungo.

Vale lo stesso per le lingue, cui tuttavia, pur evolvendo assai più lentamente di quanto si possa immaginare, dobbiamo prestare grande attenzione ogni qualvolta, senza che ciò debba per forza sembrarci un salto nel vuoto, o farci paventare il rischio di un movimento tellurico, ci avvertono di una trasformazione sociale o antropologica in corso.

Magari schwa, asterischi o altri segni inclusivi non sono la soluzione universale al problema della legittima rappresentazione linguistica dell’identità di ogni persona, binaria e non binaria. Magari, se il contesto di riferimento è quello istituzionale – questo è stato fino a ieri il mio giudizio tecnico – una lingua comune, nei suoi usi pubblici, senza ledere il diritto all’autodeterminazione dei singoli, dovrà per necessità sacrificare qualcosa, non potrà riuscire ad accontentare tutti, se è investita del compito di costituire il patrimonio di una comunità – non importa quanto piccola – che la parli, la scriva, la digiti.

Magari, però, qualcuno intanto sperimenta per uscire dall’invisibilità e c’è chi risponde positivamente al suo segnale, e altri ancora osservano gli effetti di quella sperimentazione, anche in lontananza, o a distanza di sicurezza, e alla fine cambiano idea. Non importa se soltanto in parte: quando l’avvertimento di quella trasformazione è divenuto in loro sentimento, e hanno ormai imboccato la via, la loro prospettiva necessariamente muta.

L’avanzata della destra

Vecchie e nuove forme di discriminazione o di segregazione, o vere prove di annientamento dei diritti dei pochi – in cima alla lista le minoranze etniche e di genere – incombono sull’Italia, sull’Europa, sul mondo intero per effetto di un’avanzata senza precedenti di un’estrema destra (ultranazionalista, nazional-liberale, nazional-populista) abbracciata non più (o non tanto) sull’onda dell’insoddisfazione o della protesta ma per una scelta ponderata: quella del Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), guidata da Herbert Kickl, che ha sfiorato il 30 per cento dei consensi nelle ultime consultazioni (29 settembre 2024) per il rinnovo del Consiglio nazionale (Nationalratswahl) austriaco; quella dell’Alternative für Deutsch (AfD), votata da oltre un elettore su cinque alle elezioni politiche tedesche del 23 febbraio 2025.

La stessa avanzata che ha consentito a Donald Trump, suprematista e razzista dichiarato e manifesto, di essere rieletto proprio perché tale. I fatti di lingua potrebbero apparire poca cosa se rapportati a tutto questo, ai montanti “fascismi” e “razzismi” ingoiati e rigurgitati da una democrazia periclitante su scala globale, ma non è affatto così.

Il richiamo della circolare, diramata il 21 marzo scorso da Giuseppe Valditara, a un uso regolato dell’italiano, come tante altre volte è accaduto negli ultimi tempi, è solo l’ennesimo alibi per sottomettere tutte le minoranze a una presunta maggioranza (politica, sociale, culturale) che, nel riassorbirle al suo interno, le costringa ad abbassare di nuovo la testa, alzata in anni di lotte contro asservimenti e prevaricazioni, aggressioni e violenze, azzerandone istanze e rivendicazioni.

Col ministro Valditara mi sono scontrato molto duramente, a suon di articoli e pubbliche dichiarazioni a mezzo stampa, sulla questione dei concorsi come sul caso che ha visto coinvolto Nicola Lagioia. Non gli chiedo perciò di ripensarci, perché so che non lo farà. Non gli chiedo di convocare un tavolo tecnico o di organizzare un incontro, con la partecipazione dei soggetti più direttamente interessati, in cui la questione dell’inclusione linguistica venga affrontata fuori da polarizzazioni e ideologie preconcette, perché so che non farà neanche questo. Una cosa, però, magari può farla (se è in buona fede). Può aprire al dialogo.

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