È assillante la domanda di protezione sociale e identitaria. La destra nazionalista rimane al servizio degli interessi più forti, ma offre, in risposta alle periferie sociali e alle classi medie spiaggiate, un passato idealizzato e, come facile capro espiatorio, i migranti, pur fattore destabilizzante da affrontare. Le sinistre, tutte, continuano invece a condividere l’ideologia cosmopolita, euro-federalista e mercatista sui diritti civili, lontane da chi è impoverito e impaurito
Le elezioni in Liguria perse ai punti dalla coalizione progressista. Poi, lo choc del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Prima, a settembre, l’amarezza per le sinistre cala dai tre Lander tedeschi dove si è nettamente affermata Alternative für Deutschland e, alla sua prima uscita elettorale, con una media del 13 per cento, il movimento di “sinistra conservatrice” guidato da Sahra Wagenknecht.
Prima ancora, esiti miseri per liberali e Socialisti & Democratici alla conta per il parlamento europeo, in scia all’umiliazione di “Jupiter-Macron”, il campione degli orfani delle “Terze vie”, nel verdetto per l’Assemblea nazionale in Francia. In Emilia-Romagna e in Umbria si tira un sospiro di sollievo, ma nella conferma che l’abnorme astensione delle fasce sociali più in difficoltà, come a giugno per l’emiciclo di Strasburgo, aiuta il centrosinistra, mentre affonda il M5s.
In sintesi, tendenze in corso da tempo diventano abbaglianti a ogni latitudine nel 2024. Non sono casi specifici, frutto di cause indipendenti. Sono questioni di fase. Le stesse, in sostanza, ovunque nel Global West. È “La sconfitta dell’Occidente” liberal-democratico richiamata da Emmanuel Todd. È l’insopportabilità del progressismo piegato a vantaggio esclusivo delle élite, come scrive bene Donatella Di Cesare. Tuttavia, i nodi strutturali sono ostinatamente rimossi. Eppure, la lezione è ripetuta a ogni passaggio elettorale. Almeno dal 2016 quando, nel Regno Unito e negli Usa, arrivarono come uno tsunami la Brexit e l’outsider appena rieletto presidente.
Si sarebbe dovuto leggere quell’anno come un 1989 per portata storica e ideologica. Nei termini del manifesto politico di Francis Fukuyama, scritto nel 1992 per annunciare la definitiva americanizzazione e pacificazione del pianeta, il 2016 segna la fine della “fine della Storia” e la ribellione del suo “ultimo uomo” al destino di consumatore mai sazio. Invece del muro a Berlino, crollava il consenso alla regolazione no-borders dei movimenti di capitali, merci, servizi e persone, a scala globale e, ancor di più, nello sleale mercato unico europeo.
Siamo dentro una stagione di de-globalizzazione e rideterminazione dell’impalcatura economica e politica internazionale. La normalizzazione della guerra ne è, al tempo stesso, conseguenza e fattore di accelerazione. È assillante la domanda di protezione sociale e identitaria. La destra nazionalista rimane al servizio degli interessi più forti, ma offre, in risposta alle periferie sociali e alle classi medie spiaggiate, un passato idealizzato e, come facile capro espiatorio, i migranti, pur fattore destabilizzante da affrontare.
Le sinistre, tutte, riformiste o radicali, moderate o antagoniste, invece, continuano a condividere l’ideologia cosmopolita, euro-federalista e mercatista sui diritti civili, lontane da chi è impoverito e impaurito. Lo rivela l’altissima correlazione tra le loro performance nelle urne: tutte al loro massimo nelle Ztl, tutte al minimo verso le periferie.
Inevitabilmente, il Pd, il pianeta con la massa maggiore, attrae l’elettorato delle altre sfumature. Insomma, sono fuori fase e, quindi, fuorvianti la diatriba “si vince al centro”-“si vince a sinistra” o l’ecumenico appello a “coprire il centro e la sinistra”.
Nuovo paradigma
È urgente, invece, ridefinire il paradigma di cultura politica in senso “nazionale-popolare” nel lessico gramsciano. Quale ne è l’asse? La centralità della “persona-comunità”. È visione alternativa all’“individuo-mercato”. Diversa da quella liberal-progressista egemone del “cittadino-costituzione”. Wolfgang Streeck la sintetizza così: «Non siamo “umani habermasiani”; non socializziamo sulla fragile base di una Costituzione comune, ma ci sono costumi e tradizioni, …, il cui aspetto visibile promuove la fiducia».
Per la persona-comunità, Nazione e Patria, come famiglia, sono parole da recuperare nel senso della Costituzione: fonti imprescindibili di legami sociali; luoghi protettivi, ma aperti, solidali, multiformi. Qui, l’integrazione europea, decisiva per produrre beni pubblici essenziali, va intesa come cooperazione tra Stati nazionali autonomi.
L’area progressista può continuare a rimuovere le discontinuità di fase. Ma rimane fuori gioco. L’unità del campo è condizione necessaria, certo, ma assolutamente non sufficiente. E il compito di riportare le periferie popolari nella coalizione non può essere delegato al M5S.
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