Al di là di tutte analisi (ci fossero tanti votanti progressisti quanti analisti le elezioni andrebbero diversamente), c’è un aspetto semplice nel trionfo di Donald Trump. Il mondo raccontato da Trump è sembrato migliore e più attraente di qualsiasi cosa detta dagli avversari: andremo su Marte ma potremo tenere chiusi i confini, lasciando fuori la povertà e la marginalità. Avremo le auto elettriche, ma non dovremo consumare meno per abbattere le emissioni. Come si dirà Bengodi nell’americano degli hillbilly?

È sempre la solita questione della narrazione. E affermarlo non significa certo sostenere che chi ha votato per Trump (e per la destra in Italia) se le beva tutte, per dirla semplice. È oggettivamente vero che l’agenda di Trump conviene solo a lui e a Musk e tutti gli altri ci perderanno. Il problema è farlo capire a chi l’ha votato e a chi non ha votato a sinistra. Chi vota ha sempre ragione non perché faccia sempre i propri interessi e non si faccia mai fuorviare. Ma perché se segue chi propone false soluzioni significa che chi aveva migliori argomentazioni ha fallito nella comunicazione.

Forse il problema è semplicemente questo. La maggior parte delle questioni di giustizia, quelle su cui le tesi di una sinistra progressista sono ovviamente e noiosamente vere, sono problemi di ingiustizia strutturale. Ci sono strutture della nostra vita associata e della nostra epoca che avvantaggiano pochi e svantaggiano moltissimi. Vale per l’ambiente: i combustibili fossili avvantaggiano pochi, vecchi, occidentali e relativamente abbienti, svantaggiano molti, giovani, non occidentali, poveri e che debbono nascere.

Vale per la globalizzazione: l’economia globale avvantaggia i grandi patrimoni e svantaggia tutti gli altri.

Vale per l’immigrazione: aprire le frontiere, ma anche chiuderle, avvantaggia pochi (gruppi industriali che cercano manodopera a basso costo, se si apre, mercanti della paura e trafficanti, se si chiude), e svantaggia moltissimi (i migranti, i cittadini dei paesi d’arrivo, che credono che il problema siano i migranti e si dimenticano dei loro salari e dell’inflazione).

Vale per le questioni di genere: il patriarcato ha avvantaggiato e avvantaggia pochi maschi potenti, svantaggia tutte le donne e i maschi riflessivi; l’essenzialismo della famiglia tradizionale e dei ruoli di genere ha favorito e favorisce chi sta comodo nell’immaginario del Mulino Bianco e chi ha soldi e potere per sbarazzarsi del maschio tossico tenendosi la prole, per seguire i propri gusti sessuali al riparo dai riflettori, e sfavorisce chi ha bisogno di diritti garantiti per vivere i propri sentimenti con dignità. L’ingiustizia deriva da una struttura. Non è colpa di nessuno, anche se qualcuno ne trae indebiti vantaggi e forse è complice nel momento in cui questi benefici se li gode senza chiedersi da dove arrivano.

Ma la narrazione progressista delle ingiustizie è diventata una continua e petulante accusa. Il problema del wokismo forse non è la sostanza, ma la forma. Non la protezione delle differenze, ma l’accusa isterica e la voglia di gogna, invece che di discussione. La gioiosa semplicità di Regan e di Berlusconi non hanno insegnato nulla. La sinistra finisce per limitarsi ad accusare il capitale finanziario, la tecnologia, il maschilismo tossico e così via. E i sorrisi di Kamala Harris non erano rassicuranti.

Sarà pure che Harris non si è smarcata abbastanza dalla passata amministrazione, che è una donna, e nera, che aveva un programma vago. Ma guardiamo a quello che ha sedotto gli elettori di  Trump e Elon Musk: la fantascienza tecnocratica e i sogni della cameretta degli adolescenti insieme a immagini consolanti per gli anziani alle prese con un mondo sempre più complicato e tenebroso.

La reazione mascherata da progresso e il progressismo dipinto come conservazione. Lo stesso da noi: sovrani a casa nostra, come una monarchia dell’Ottocento, ma nessuna rinuncia alle comodità dell’Occidente industriale avanzato. Difendiamo i confini, non mandando i figli in guerra, ma cacciando in Albania quattro poveri disperati.

Lo sciopero non è un diritto per i salari, ma per la sicurezza contro i passeggeri di colore. Questo è il sogno melonian-salviniano. Sinché la sinistra non tornerà al sogno di un avvenire migliore per tutti, anche per i controllori dei treni e per i poliziotti onesti, che non ascoltano ordini dai manifestanti neofascisti, lasciando perdere colpe e accuse, e parlerà di nuovo di emancipazione e libertà: ecco, sino ad allora, le cose andranno così.

L’era Trump passerà. Mentre, si provi a raccontare che ci potrebbe essere un futuro migliore del passato.

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