Il settore dei trasporti è regolato dall’Authority di più recente istituzione in Italia (10 anni fa) e nei giorni scorsi il suo presidente Nicola Zaccheo ha presentato la relazione annuale che tratta di un vasto numero di questioni. Ne evidenziamo tre che ci sembrano meritare particolare attenzione.

La prima riguarda i trasporti pubblici locali (Tpl), compresi quelli ferroviari. Qui da decenni c’è una normativa europea e italiana che prevede che i servizi siano messi in gara, per garantire minori costi pubblici e maggior qualità. Niente a che vedere con una privatizzazione o una liberalizzazione. Le gare in Europa hanno dato in generale ottimi risultati, ma in Italia o non si fanno o si fanno per finta. Le poche eccezioni confermano la regola.

La legge sulla Concorrenza (compresa quella di Draghi del 2021) non risolve il conflitto di interessi che blocca il settore.

L’Authority dei trasporti, in sigla Art, è infatti costretta a “chiedere all’oste se il vino è buono”, cioè ai comuni o alle regioni se sono soddisfatti delle performance delle aziende di cui sono proprietari, o vogliono invece metterle in gara. Pochissimi enti locali, e nessuna delle maggiori città, ovviamente si dichiarano insoddisfatti.

Roma è un esempio clamoroso, ma anche Milano per l’area dove opera la sua azienda Atm ha deciso di fare un unico lotto, che vuol dire che Atm è sicura di vincere (nessuno entra seriamente in gara sapendo che prima deve eliminare totalmente quello che c’è già, e poi si troverà ad avere a che fare con un comune arrabbiato per aver perso).

Occorre che le gare non siano né decise né giudicate dai padroni delle imprese. Art dovrebbe denunciare con maggior forza questa assurda situazione, anche a costo di scontentare molti politici (di ogni partito).

Tariffe diverse al casello

Il secondo punto riguarda il pagamento delle infrastrutture. Non è chiaro perché Art non insista per una riforma radicale dell’attuale sistema di pagamento, che è caotico e inefficiente: in certi casi pagano tutto gli utenti (le strade con la benzina e le autostrade anche con i pedaggi), in altre tutto i contribuenti (le ferrovie), altre ancora con le più varie vie di mezzo.

L’esempio più recente e clamoroso riguarda l’osservazione che diverse autostrade regionali in Lombardia e in Veneto, relativamente nuove, hanno pochissimo traffico (per esempio la BreBeMi lombarda e la Pedemontana veneta), mentre i percorsi dai quali dovevano attrarre traffico rimangono congestionati, con un evidente spreco di risorse.

Ma il motivo è ovvio: con l’attuale sistema di tariffazione costano il doppio dei percorsi alternativi. I pedaggi dovrebbero servire non solo a coprire i costi, ma soprattutto a ottimizzare la distribuzione del traffico. Sembrava che il ministro Salvini intendesse muoversi in questa direzione, ma poi non se ne è fatto nulla.

Il terzo caso riguarda la ventilata privatizzazione parziale delle ferrovie. Il governo si è impegnato a privatizzare aziende pubbliche per 20 miliardi in totale. Il problema è che qui l’impresa pubblica Fsi vive di trasferimenti statali, per un totale annuo di oltre 10 miliardi. Se si privatizza “in solido” una quota della società Fsi, ovviamente occorrerà garantire ai compratori un ragionevole profitto, ma questa garanzia significa in questo caso trasformare il profitto in una rendita, per di più pagata dai contribuenti.

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