La nuova Commissione va in direzione esattamente contraria a quel salto di qualità auspicato e tantopiù necessario dopo la vittoria di Trump: le questioni economiche e ambientali diventano ancora più urgenti. Proprio per questo una Commissione che guarda così tanto a destra risulta già vecchia
Nell’epoca della storia più drammatica dai tempi della Seconda guerra mondiale, l’Unione europea si avvita su sé stessa e si condanna al declino. La nuova Commissione, che il parlamento europeo deve vagliare in questi giorni, va in direzione esattamente contraria a quel salto di qualità auspicato e tanto più necessario dopo la vittoria di Donald Trump. La virata a destra stride anche con il programma varato dal nuovo parlamento.
Ma la Commissione è nominata dai governi e, ancora una volta, la prima lezione da trarre è questa: ad azzoppare l’Europa è proprio la logica nazionalista, tanto difesa da Meloni, e fra le principali vittime di questa logica c’è proprio l’Italia.
Ben più che nel parlamento europeo, e anche per la debolezza dei social-democratici tedeschi, qui infatti i Popolari hanno potuto farla da padrone imponendo, a partire dalla politica economica, un indirizzo che andrebbe chiamato forse reazionario, sicuramente conservatore: cioè un ritorno ai tempi dell’austerità e l’abbandono di ogni ambizione sulla transizione energetica, rispetto alla svolta espansiva rappresentata dal Next Generation EU. Ed è una direzione di marcia opposta a quella invocata, per esempio, da Draghi. E scandalosamente inadeguata rispetto alla sfida lanciata da Trump.
Verso destra
In concreto, i Popolari hanno ottenuto 13 commissari (prima erano 11), contro i cinque dei Socialisti (erano otto), i tre dei Liberali (erano sei), nessuno dei Verdi (ne avevano uno). Lo spostamento è evidente, a maggior ragione se si tiene conto del commissario di Ecr, a destra del Ppe (l’italiano Fitto), e del fatto che fra i cinque indipendenti vi è, per dire, l’ungherese Várhelyi, personaggio estremo e controverso, un fedelissimo di Orbán: per la prima volta, nella commissione europea i rappresentanti di destra e centro-destra sono in maggioranza.
Quanto al merito delle nomine, l’Economia è stata affidata al lettone Dombrovskis, il portafoglio Clima e crescita pulita all’olandese Hoekstra: entrambi del Ppe, sono due falchi noti per le loro posizioni a favore dell’austerità; il secondo, coinvolto anche in scandali fiscali, è stato forse il più duro oppositore degli aiuti all’Italia all’epoca della pandemia Covid, il più ostile al lancio del Next Generation e degli eurobond (per non dire della sua posizione tenacemente ostile all’armonizzazione dei regimi fiscali).
Fitto entra invece in un ruolo minore, rispetto a quello che il nostro paese aveva ottenuto finora: nonostante lo spostamento a destra, l’Italia, con Meloni, ha perso quel ruolo centrale che aveva ricoperto in passato.
Le sfide economiche
Ma a preoccupare è forse soprattutto altro: l’indirizzo conservatore della nuova Commissione non tiene conto di quello che sta succedendo all’economia dell’Europa, e della Germania in particolare; e ancor meno di quello che sta succedendo nel mondo. In uno scenario globale già difficile in cui la vittoria di Trump imporrà un’ulteriore stretta protezionista, la crescita tedesca fondata sulle esportazioni, e sul basso costo dell’energia, comprimendo i consumi e i costi interni con politiche di austerità, semplicemente non è più possibile: tant’è vero che l’economia tedesca si è fermata, già adesso.
È quindi la Germania, prima di tutti, a dover cambiare il suo modello di sviluppo, e noi con lei: dovrebbe puntare sui consumi interni e sulla transizione energetica, attraverso investimenti nel sociale, nell’innovazione, nell’ambiente; difatti è proprio su questo che si è consumata la crisi del governo tedesco, la rottura con i liberali fedeli all’ortodossia di bilancio.
La fine dell’austerità. E la capacità dell’Unione di diventare finalmente una federazione, superando i veti nazionali. È su questo che si gioca la partita politica, ed economica, decisiva in Europa. La vittoria di Trump rende entrambe queste sfide ancora più drammatiche e urgenti. Ma proprio per questo la nuova commissione risulta già vecchia. E l’Italia del governo Meloni, che condivide le politiche di austerity mentre difende il diritto di veto, in questo scenario rischia di essere l’utile idiota.
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