Nessuno dei leader politici può permettersi di fermare la sua corsa né di deviarla. Quasi certamente chi si dimostra chicken, vale a dire, fifone, sarà costretto a lasciare la guida di quel sistema politico, a maggior ragione se l’aveva conquistata promettendo il ritorno della grandezza del passato
Dopo il 1989 per qualche tempo sembrò che gli Stati Uniti d’America fossero l’unica superpotenza rimasta, in grado di garantire da sola il nuovo ordine internazionale. Alcuni politici democratici parlarono degli Usa come nazione indispensabile.
Criticamente, il grande politologo Samuel Huntington scrisse, invece, di superpotenza, non egemone, ma, lonely, solitaria, senza (capacità/desiderio di crearsi) amici. Nel giro di un decennio, eroso da comportamenti picconatori, l’ordine (politico, economico, sociale) internazionale è venuto meno.
Nessuno cerca di ricostruirne uno diverso, più rappresentativo delle mutate realtà, più equo, capace di durare. Proliferano conflitti, non solo locali, e vere e proprie guerre. La guerra dei dazi, erraticamente (no, non c’è nessun metodo in questa follia) lanciata dal presidente Donald Trump è parecchio più pericolosa di quel che ne pensano non pochi commentatori beneauguranti. Più in generale, si affacciano interpretazioni complessive malamente fantasiose che si rifanno a qualche tesi in voga tempo fa negli Usa, e più di quattro secoli prima di Cristo ad Atene.
La teoria del “pollo”
Nei giorni scorsi sulle pagine del Corriere della Sera e della Stampa è stata proposta una tesi erroneamente definita del «pollo», poi corretta in «coniglio», secondo la quale dovremmo temere che gli errori delle autorità di governo le quali, stupide come polli, si sfidano, conducano a esiti fortemente distruttivi.
Giustamente, il giornalista Danilo Taino richiamava, però, senza citarla, la sfida resa molto famosa dal film Gioventù bruciata (1955), protagonista James Dean, fra due auto che si lanciano l’una contro l’altra ad altissima velocità. Chi devia per primo viene bollato, ma non come pollo, cioè, stupido, bensì come fifone che, in questo caso, è la traduzione corretta della parola chicken.
Quando lo scontro possibile coinvolge grandi potenze, ovviamente, la sua deflagrazione ha imprevedibili, tanto temibili quanto terribili, conseguenze sistemiche. Nessuno dei leader politici può permettersi di fermare la sua corsa né di deviarla. Quasi certamente chi si dimostra chicken, vale a dire, fifone, sarà costretto a lasciare la guida di quel sistema politico, a maggior ragione se l’aveva conquistata promettendo il ritorno della grandezza del passato.
Pace e democrazia
Quanto vale per Trump e per Xi Jin ping, vale a maggior ragione per Vladimir Putin che ha affidato il recupero della grandezza imperiale russa alla «operazione militare speciale» condotta contro l’Ucraina. Non può assolutamente permettersi passi indietro. Venisse mai percepito come fifone sarebbe immediatamente defenestrato. I sovranismi, grandi, medi e piccoli, si reggono su dimostrazioni, grandi, medie, piccole, di sovranità, anche, comprensibilmente, espressa con il ricorso e l’uso delle armi.
Nessuno di questi sovranismi armati e intenzionati a fare affidamento sulle loro armi e sulla asserita indisponibilità a mostrarsi fifoni, cedendo al primo cenno di sfida, sarà mai sensibile alle richieste di chi, capovolgendo il detto latino, dichiari si vis pacem para pacem.
Per quanto apparentemente gratificante per i molti che l’hanno fatto proprio e che lo pronunciano nelle manifestazioni di piazza, questo slogan non è mai accompagnato da suggerimenti operativi. Sappiamo che cosa implica il dettame para bellum, anche se prepararsi alla guerra non significa affatto volerla fare. Spesso significa più precisamente e pregnantemente la disponibilità a combattere per la propria indipendenza e sopravvivenza.
Vedo nel triangolo Usa, Cina, Russia la presenza di diversamente fortissimi e deprecabilissimi elementi, congiunturali e strutturali, di autoritarismo. Credo che la conclusione adeguata del come reagire se vogliamo la pace consista nel suggerire, richiedere, cercare di introdurre elementi di democrazia, di diritti e doveri e loro osservanza, nella pratica interna e nel sistema/ordine internazionale. Si vis pacem para democratiam.
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